Chiesa

Il delitto 21 anni fa. Don Diana, primi passi verso la beatificazione

Antonio M. Mira giovedì 19 marzo 2015
Una chiesa piena, la sua parrocchia. Una scuola strapiena di ragazzi che ascoltano don Luigi Ciotti e Raffaele Cantone e si dicono "pronti a collaborare per il cambiamento nello Stato, con lo Stato, per lo Stato". Un lungo corteo fino alla sua tomba, e a quelle delle tante vittime della camorra. Una sala consiliare gremita di sindaci che firmano, tutti insieme, un impegnativo protocollo di legalità. Così Casal di Principe ricorda il suo parroco don Peppe Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo 1994. "Cristiano e sacerdote, che si è fatto partecipe della carità del Signore e dell'amore di Dio per il suo popolo fino all'offerta della propria vita", dice il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo, vicepresidente della Cei, prima di annunciare durante l'omelia i primi passi verso la causa di beatificazione di don Peppino. Il cui sacrificio, sottolinea il vescovo, "è stato come un discrimine, un ineludibile punto di forza, per tanti di noi come una rinnovata vocazione ad amare questa terra, ad impegnarsi per donarle la dignità della giustizia e perché in essa gli uomini possano vivere il bene come figli dell’unico Padre".
Per questo "già dallo scorso anno, con l’impegno di molti, si è cercato di lavorare alla raccolta di testimonianze e di quanto possa permettere una piena conoscenza dei fatti e soprattutto della fede, della speranza e della carità vissuta da don Peppino nella sua persona e nella sua vocazione al ministero sacerdotale a servizio della Chiesa tutta". Un ulteriore passo avanti. "Per me don Peppino è beato da quel giorno - riflette don Ciotti -. Perchè aveva fatto della Parola di Dio uno strumento di annuncio e di denuncia. Non era uno sprovveduto, conosceva i rischi, ma denunciava perchè sarebbe stato molto più duro sopportare in silenzio". Un silenzio che evoca anche Raffaele Cantone. "Tante persone in silenzio facevano il tifo per lo Stato. Ma ora bisogna smetterla di stare in silenzio. Anche per non dare l'impressione che chi sta in silenzio sta dalla parte della camorra. Proprio don Peppe ci ha dimostrato che c'è un altro modo di essere casalese: non essere in silenzio". Servono parole chiare, per denunciare, come fa Spinillo, che "il male è ancora prepotentemente presente e ramificato nella nostra società, e si mostra capace, anche nella globalizzazione degli interessi e degli affari, di camaleontiche mimetizzazioni per continuare a dominare e ad appropriarsi della vita dell’umanità". Le possiamo chiamare "malavita organizzata, corruzione, camorra o mafia o ndrangheta" ma "nella Chiesa, e nella luce della fede, ciò si chiama: "peccato"". Proprio come faceva don Peppe. E poi tanti nel suo nome. "Siamo riusciti tutti noi - dice Gianni Solino di Libera Caserta - a trasformare un giorno di tragedia in un giorno di festa per tutta la gente di Casal di Principe, per tutta l'Italia". Una riflessione che fa anche Renato Natale, amico di don Peppe, sindaco nel 1994 e sindaco oggi. "Avevo la fascia tricolore e accompagnavo don Peppe nella bara. Ho anche oggi la fascia e nuovamente lo accompagno, ma lui oggi è vivo".