Chiesa

Seminario. Don Brambilla: a rischio il rapporto tra il prete e le comunità che guida

Enrico Lenzi mercoledì 10 maggio 2023

Seminario di arcivescovile di Milano

«È un tentativo di risposta a un disagio che stanno vivendo molti nostri confratelli». A parlare è don Paolo Brambilla, docente di teologia dogmatica al Seminario arcivescovile di Milano, che assieme al suo collega don Martino Mortola, ha coordinato il dossier pubblicato da “La Scuola cattolica” trimestrale del Seminario.

A quale disagio fa riferimento?

Mai come in questi ultimi anni vediamo i nostri confratelli sacerdoti vivere con fatica il loro ministero. Ci interroga soprattutto il fatto che la maggior parte di loro non si trova più a dover guidare una singola parrocchia, ma due o tre parrocchie insieme. Complice proprio il calo dei sacerdoti. Una situazione a cui si è cercato di dare una soluzione con la creazione delle comunità pastorali che accorpano più realtà parrocchiali sotto la guida un unico parroco. E così la voglia di stare con i fedeli a loro affidati si scontra con le difficoltà di dover gestire più realtà, magari neppure vicinissime tra loro. Vivono la situazione di “essere di tutti e di nessuno” allo stesso tempo, perché non riescono a essere presenza significativa e costante in tutte le realtà a loro affidate, nonostante l’impegno e lo zelo pastorale.

Una scelta, quella delle comunità pastorali, che nell’arcidiocesi di Milano coinvolge già adesso 660 realtà parrocchiali sulle 1.107 esistenti. Un percorso irreversibile?

Di certo è la risposta più semplice e immediata alla diminuzione delle ordinazioni. E le prospettive per il futuro al momento non sono certo positive. Negli scenari che abbiamo ipotizzato, anche grazie alla collaborazione di due demografi dell’Università Cattolica, assistiamo a un progressivo calo di sacerdoti nell’arcidiocesi di Milano rispetto agli attuali 1.737, che sono già in calo rispetto a venti anni fa quando erano 2.200.

La fotografia che scattate all’inizio del vostro dossier presenta molte criticità: in calo battesimi e matrimoni e anche la partecipazione alla Messa. Uno scenario fosco.

Per poter affrontare il problema, abbiamo scelto di avere uno sguardo quantitativo sulla situazione. Un prendere contatto con la realtà, un prendere coscienza di come è cambiata la situazione. Una fase di ascolto della realtà, da cui partire per progettare. Ma abbiamo anche cercato di ipotizzare gli scenari che si possono aprire. Comunque la realtà italiana è ancora distante da quella che si vive nel nord Europa dove si è arrivati letteralmente alla chiusura di numerose parrocchie.

Secondo lei le comunità parrocchiali come dovrebbero leggere gli scenari che ipotizzate?

Credo che sia importante che la nostra gente prenda coscienza del problema nella sua interezza. I dati parlano chiaro: la metà delle parrocchie dell’arcidiocesi di Milano già vivono l’esperienza della comunità pastorale. Ma forse manca ancora la percezione che non stiamo vivendo un periodo transitorio, bensì un periodo che ci apre a molte sfide: i preti continuano a diminuire e dobbiamo trovare modalità nuove di essere comunità. Ma questo nostro lavoro ha tra i primi destinatari i pastori, offrendo loro una fotografia dell’esistente, ma anche qualche pista di riflessione su cui incamminarsi. In realtà questo dossier a settembre diventerà un libro, nel quale cercheremo anche di offrire qualche nostra conclusione e anche qualche linea d’azione, sicuri anche che Dio non abbandona mai il suo popolo. Ci sarà da leggere in modo sapienziale la situazione verso la quale siamo incamminati. Alcune suggestioni sono già presenti nei testi che compongono questo dossier.

Uno dei contributi nel vostro lavoro parla anche del ruolo dei laici in questa situazione. Come leggere il loro coinvolgimento: necessità o opportunità?

Direi che si tratta di una opportunità di coinvolgimento. Di crescita, anche se non sempre facile. Penso all’esempio dei team pastorali a cui la diocesi di Bolzano-Bressanone ha affidato la guida delle parrocchie rimaste senza un sacerdote fisso. Una buona pratica, che fa riscoprire ai laici anche il proprio sacerdozio battesimale. Non si tratta di sostituire in toto il sacerdote, ma il mettere in campo la gestione nei settori della carità, dell’educazione, persino di parte della liturgia. Ovviamente servono laici preparati a questi compiti.

E i diaconi permanenti?

Sicuramente la loro presenza va tenuta in considerazione e rende possibile passare a loro qualche compito che oggi fa capo ai sacerdoti.