Chiesa

Il ricordo del vescovo. De Scalzi: Martini, uno stile ascetico

Filippo Rizzi martedì 1 settembre 2015
La «tenace fedeltà al Vangelo nella vita quotidiana», il primato della Parola di Dio «con cui chiudeva e apriva la sua giornata» e la capacità di ascolto dei bisogni di ogni persona: da quelle più in vista alle più semplici. È il ritratto che affiora, a tre anni dalla morte di Martini, dai ricordi del vescovo ausiliare di Milano, abate di Sant’Ambrogio e primo segretario del cardinale gesuita, dal 1980 al 1983, Erminio De Scalzi. «Poteva apparire, a prima vista una persona timida, schiva, persino distaccata – dice il presule –, questa impressione però mutava di mano in mano, avvertendo il gran rispetto che egli nutriva per ogni persona. Rimane soprattutto vivo in me l’amore per la Parola di Dio. Sulla sua tomba, in Duomo, sono riportate, secondo le sue ultime volontà, le parole del salmo 119: “Lampada dei miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino”. Credo che la meditazione della Parola mediante la "lectio divina" da lui insegnataci abbia cambiato la qualità della vita spirituale di molte persone e dell’intera arcidiocesi». Dal fitto album di ricordi De Scalzi estrae alcune istantanee più private del gesuita Martini, come le gite in montagna. «Si allontanava da Milano non per fuggire, ma per trovare quelle energie che gli hanno permesso di servire la Chiesa ambrosiana con profonda intensità. Da buon gesuita riteneva opportuno ricavare nella settimana un momento di pausa, scegliendo delle escursioni sulle vette vicine alla città. Non erano semplici camminate, ma un esercizio che diveniva quasi un aspetto della sua “regola di vita”. Nel mio ricordo quelle salite, nei primi anni anche qualche tratto in cordata, rappresentavano il segno di una vera e propria ascesi». De Scalzi torna con la mente agli anni di episcopato di Martini, agli incontri internazionali di cui fu protagonista come l’importante ruolo rivestito dal 1986 al 1993 come presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee). «Quelle occasioni di confronto vissute in prima persona dal cardinale gli permisero di comprendere, in anticipo sui tempi – osserva il vescovo ambrosiano – quel rimescolamento di popoli e culture che oggi è sotto gli occhi di tutti. Mi è parso che in quei frangenti, grazie alla sua apertura di mente e di cuore, abbia sperimentato l’importanza del dialogo con persone di ogni credo. A mio modo di vedere Martini, come papa Francesco, aveva intuito l’importanza di una Chiesa in uscita». Un lascito e una cifra di apostolato, quelli di Martini, è la convinzione di De Scalzi, che interpellano ancora l’uomo di oggi e le sue domande di senso. «Le sue parole non conoscevano l’ovvietà e tanto meno la banalità. Tutta la predicazione dell’arcivescovo – riflette – è stata all’insegna di una conversione profonda, che vuole dare cuore ad una religiosità troppo spesso formale e distaccata della vita. Nei momenti di oscurità che tutti attraversiamo nella nostra esistenza, ricordare questa forza, questa capacità di resistere alle avversità, mi pare il modo migliore per fa rivivere il pensiero del cardinale. Si può dire che il suo motto episcopale, preso dalla regola pastorale di san Gregorio Magno, "Pro veritate adversa diligere", non fu per lui una decorazione araldica, ma la chiave di lettura di tutta una vita».