Chiesa

La visita del Papa a Torino. Il Papa ai giovani: vivete, non vivacchiate

Gianni Cardinale domenica 21 giugno 2015
L’esaltazione dei molti grandi Santi della Torino di fine Ottocento – sorti in una città pur così ”massonica”, “mangiapreti”, “anticlericale” e anche “demoniaca” - ha caratterizzato gli interventi del pomeriggio torinese di Papa Francesco. Lo ha fatto parlando ai salesiani incontrati nel bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. E lo ha ribadito incontrando i giovani che ha invitato a vivere “controcorrente” come fecero appunto i santi fioriti nel Piemonte di un secolo e mezzo fa. Dopo un breve momento di preghiera nel Santuario della Consolata il Pontefice si è recato in un’altra basilica mariana, intitolata a Maria Ausiliatrice, chiesa madre dei salesiani, dove ha salutato i figli e le figlie di san Giovanni Bosco nel bicentenario della sua nascita. Abbandonando il testo preparato, il Papa ha parlato a braccio, e ha tessuto un vero inno allo spirito salesiano. Riferendosi anche alla propria esperienza personale di bambino cresciuto in una parrocchia salesiana, ha elogiato la capacità di trasmettere ai giovani una educazione all’affettività che don Bosco aveva imparato a sua volta da mamma Margherita. E li ha anche invitati ad impegnarsi per impartire una “educazione d’urgenza” ai giovani in questi tempi di crisi affinché possano imparare un mestiere anche umile, ispirandosi a quanto fece don Bosco con le scuole professionali per togliere dalla strada i ragazzi del suo tempo. Papa Francesco ha elogiato la “gioia”, la “missionarietà” e la “concretezza” che caratterizza le opere di don Bosco. E ha ricordato i tre “amori bianchi” del santo: per la Madonna, per l’Eucaristia e per il Papa. E alle religiose Figlie di Maria ausiliatrice ha spiegato che il posto delle donne nella Chiesa non è tanto quello di occupare un posto da capodocastero vaticano (sarebbe “funzionalismo”) quanto quello della Madonna con gli apostoli nella Pentecoste. Visitando poi la Piccola Casa della Divina Provvidenza, dove si è fermato a salutare e ad abbracciare uno ad uno tanti degli ospiti, Papa Francesco ha detto: “Non potevo venire a Torino senza fermarmi in questa casa, fondata quasi due secoli fa da san Giuseppe Benedetto Cottolengo”, che «ispirato dall’amore misericordioso di Dio Padre e confidando totalmente nella sua Provvidenza, accolse persone povere, abbandonate e ammalate che non potevano essere accolte negli ospedali del tempo». Il Pontefice ha aggiunto che ha detto che la situazione in cui operava il Cottolengo a volte si ripete anche nel mondo d’oggi. Infatti “sono stati fatti grandi progressi nella medicina e nell’assistenza sociale, ma si è diffusa anche una cultura dello scarto, come conseguenza di una crisi antropologica che non pone più l’uomo al centro, ma il consumo e gli interessi economici”. Infine l’incontro con le migliaia di giovani piemontesi in piazza Vittorio. Rispondendo a braccio a tre domande Papa Francesco ha indicato l’esempio del beato Piergiorgio Frassati ricordando il suo motto: “Vivere, non vivacchiare!”. E senza voler fare “moralismo”, ma osservando che anche il Papa deve rischiare “l’impopolarità” per dire “la verità”, ha aggiunto: “l’amore è casto”, e ha esortato: “siate casti!”, “fate lo sforzo di vivere castamente!”, superando la concezione “edonista” e “facilista” dell’amore. Il Papa ha quindi evocato la “terza guerra mondiale a pezzi” in atto ed ha di nuovo puntato il dito contro gli ipocriti che predicano la pace e poi si arricchiscono col commercio delle armi. Il Pontefice ha poi invitato i giovani a “non andare in pensione a vent’anni”, ad agire “controcorrente” rispetto all’”edonismo” e del “consumismo” del nostro tempo essendo “coraggiosi e creativi” e respingendo quelli che fanno vedere “vetro” e lo vogliono spacciare come “diamanti”. Papa Francesco, prima dei suoi tre intensi incontri pomeridiani ha pranzato in privato in arcivescovado dove lontano dei riflettori ha consumato il pasto – con il catering organizzato dal Sermig di Ernesto Olivero - insieme a giovani detenuti, immigrati e rom
senza fissa dimora. E non è mancato il fuori programma. Con la visita, a sorpresa, alla chiesa di Santa Teresa dove ne lontano 1907 si sposarono i nonni paterni del Papa Giovanni Bergoglio e Rosa Vassallo. E dove l’anno dopo venne battezzato suo papà Mario. Famiglia, lavoro, immigrati. Sono stati questi i temi ricorrenti della mattinata torinese di Papa Francesco, che ha invitato i fedeli della città e tutti i piemontesi a mettersi sulla scia dei “santi liberi e testardi” di queste terre. Nel suo discorso al mondo del lavoro in Piazzetta Reale il Pontefice ha ribadito il “no” della Chiesa “all’idolatria del denaro”, “alla corruzione” e “alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti”, il “no” “all’inequità che genera violenza”. E ha osservato che nell’attuale crisi “globale e complessa” non ci si può limitare a dire “aspettiamo la ripresa…”, perché “il lavoro è fondamentale”, come dichiara “fin dall’inizio la Costituzione Italiana”. E il lavoro “non è necessario solo per l’economia”, ha insistito il Papa, ma anche “per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e anche per l’inclusione sociale”. E se “l’immigrazione aumenta la competizione”, i migranti, ha ammonito, “non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’inequità, di questa economia che scarta e delle guerre”. E “fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni, in cui esseri umani vengono trattati come merce!”. Prendendo spunto dalle testimonianze ascoltate, Papa Francesco, aggiungendo a braccio rispetto al discorso preparato, ha detto: “Mi è piaciuto tanto che voi tre abbiate parlato della famiglia, dei figli e dei nonni”. “Non dimenticare questa ricchezza!”, ha aggiunto, perché “i figli sono la promessa da portare avanti” e “gli anziani sono la ricchezza della memoria”. E “noi non possiamo uscire dalla crisi senza i giovani, i ragazzi, i figli e i nonni”. Nell’omelia della messa celebrata davanti a migliaia e migliaia di fedeli raccolti in piazza Vittorio, Papa Francesco è tornato a parlare delle famiglie, alludendo anche ai migranti. Invitando la Chiesa a “vivere la gioia del Vangelo praticando la misericordia”, ha consegnato il compito di “condividere le difficoltà di tanta gente, delle famiglie, specialmente quelle più fragili e segnate dalla crisi economica”. Allo stesso tempo ha esortato ad evitare “il rischio” di lasciarsi “paralizzare dalle paure del futuro e cercare sicurezze in cose che passano, o in un modello di società chiusa che tende ad escludere più che a includere”. E nel fornire queste indicazioni il Papa ha indicato l’esempio dei “tanti e santi e beati” cresciuti “in questa terra”. “Santi liberi e testardi”, ha aggiunto evocando la “razza nostrana libera e testarda” dei versi del poeta piemontese Nino Costa precedentemente citato nel corpo dell’omelia. E nell’introdurre la preghiera mariana dell’Angelus, ultimo atto della sua mattinata torinese, Papa Francesco, dichiarandosi “nipote” di “questa terra benedetta”, ha ricordato esplicitamente due grandi santi piemontesi: don Bosco, di cui ricorre il bicentenario dalla nascita, e san Giuseppo Cottolengo. Ma la mattinata di Papa Francesco nella capitale subalpina è stata segnata anche dal momento di raccoglimento e preghiera davanti alla Sindone, “icona”, ha detto sempre prima dell’Angelus, che “attira verso il volto e il corpo martoriato di Gesù e, allo stesso tempo, spinge verso il volto di ogni persona sofferente e ingiustamente perseguitata”.