Chiesa

Patti. Come Benedetto il Moro, scalzo e «guarito» da Dio

mercoledì 18 maggio 2016
San Fratello, provincia di Messina e diocesi di Patti, piccolo centro di 3.900 abitanti, non può dire di vivere attualmente un periodo di agio dal punto di vista materiale – una grossa frana nel 2010 lo ha messo in ginocchio, danneggiando tra l’altro le strutture della parrocchia principale, quella di San Nicolò di Bari, e costringendo un migliaio di persone a trovare una sistemazione di fortuna – ma custodisce una ricchezza di tipo diverso. «Il paese conta undici sacerdoti diocesani viventi, più quattro religiosi che hanno ricevuto l’ordinazione sacerdotale. A questi si possono aggiungere un religioso che ha fatto la professione solenne ma non è sacerdote, più numerose religiose che è difficile contare. Infine c’è un diacono in attesa di diventare presbitero, che sarei io, e un seminarista in formazione». A parlare è don Pierangelo Scaravilli, 24 anni, entrato in Seminario a Patti nel 2011, da poco ordinato diacono e uno degli ultimi “prodotti” di quella piccola fucina di vocazioni che continua a essere San Fratello. Diceva nelle settimane scorse ad Avvenire Arturo Aiello, vescovo di Teano-Calvi, che «le vocazioni restano un termometro della temperatura spirituale di una diocesi. E anche della vita sacerdotale del singolo presbitero. Un prete che non abbia partorito una vocazione, che non sia riuscito a far innamorare qualcuno della propria missione perlomeno presenta un punto di domanda». Alla luce di ciò, San Fratello può dire di annoverare sacerdoti che presentano punti di esclamativi più che interrogativi. Ma quali sono in concreto i motivi di tale floridità vocazionale, anche rispetto a centri limitrofi più popolosi? «Difficili da dire su due piedi – risponde Scaravilli – certamente qui è rimasta viva una fede che definirei popolare nel senso più bello dell’espressione. Ci sono poi alcuni aspetti peculiari. A San Fratello si prega molto per le vocazioni. Da parte della gente c’è una devozione particolare per il Sacro cuore di Gesù. E avere una vocazione in famiglia è sempre stato visto come un dono, una cosa bella». Il Papa nella suo discorso di ieri, tracciando la figura del presbitero per un clero rinnovato, ha detto che «è scalzo, il nostro prete, rispetto a una terra che si ostina a credere e considerare santa. Non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano: consapevole di essere lui stesso un paralitico guarito». Una delle figure che nei secoli continua a dare linfa spirituale a San Fratello possedeva proprio le qualità che Bergoglio ha tratteggiato. Si tratta di san Benedetto Manasseri (1524-1589), co-patrono di Palermo, detto anche san Benedetto il Moro perché originario dell’Africa subsahariana: era infatti nato in una famiglia di schiavi portati a San Fratello e poi liberati dalla famiglia Manasseri. A 18 anni lasciò la casa paterna e si mise a lavorare aiutando i poveri. Divenne poi eremita, attirando le folle con la sua fama di santità e i suoi poteri taumaturgici, quindi entrò nei francescani riformati. Andrea Galli © RIPRODUZIONE RISERVATA