Chiesa

Nuove generazioni. Sinodo dei giovani 2018: «Cari adulti è ora di darci ascolto»

Gioele Anni mercoledì 12 ottobre 2016

"Io vi domando, voi rispondete: le cose si possono cambiare?". Nel parco di Blonia zuppo di pioggia, tante lingue formavano una sola voce: «Sì! Yes! Oui! Tak!». Era il primo incontro tra Francesco e i giovani, a Cracovia. E il Papa, felice, confidava: «La Chiesa oggi vi guarda – direi di più: il mondo oggi vi guarda – e vuole imparare da voi». Chissà se Francesco aveva già in mente di dedicare ai giovani il Sinodo del 2018. Di certo, in quel dialogo, ne ha tracciato il percorso. Oggi la Chiesa guarda a noi giovani, a chi come me ha tra o 20 e i 30 anni, per intercettare la voglia di cambiamento della nostra generazione. E crede che in questo mondo, più abituato a darci etichette ("sdraiati", "bamboccioni", "generazione what?") che ad ascoltarci, abbiamo persino qualcosa da insegnare.

Che cosa vogliamo dire alla Chiesa universale e alla società? Almeno due cose. Che abbiamo ancora sogni, e siamo pronti a sporcarci le mani per realizzarli. E che è bello essere giovani proprio adesso, proprio in questo mondo. Sì, perché la nostra generazione ha tanti problemi, e li sperimentiamo sulla nostra pelle. La crisi economica, ovunque, ha colpito soprattutto noi. Diventare adulti è sempre più faticoso. La guerra "a pezzetti" e il fanatismo ci fanno paura. Eppure guardiamo con fiducia a quello che la realtà oggi ci offre. Siamo la generazione che abbatte le distanze: coltiviamo amicizie in tutto il mondo, viaggiamo tra gli Stati come i nostri genitori potevano solo sognare.

Con le nuove tecnologie arricchiamo le conoscenze, ci confrontiamo, facciamo sentire la nostra voce. E nelle nostre vite precarie riscopriamo valori dimenticati: l’incontro, la condivisione, la solidarietà. Insomma, noi non vogliamo semplicemente il cambiamento. Noi siamo già cambiati, e sappiamo che il mondo deve cambiare insieme con noi. Oppure, come in un film già visto, muri e sfruttamento prevarranno su ponti e dignità.Questi due anni sono un’occasione straordinaria per generare processi con i giovani, così che i vescovi riuniti nel Sinodo possano dare eco anche ai nostri pensieri. Processi di ascolto reciproco tra le generazioni, di dialogo schietto. Insieme potremo provare a leggere questo mondo, e i segni di bene che lo abitano.

Certo, dovremo confrontarci con il pregiudizio che molti giovani hanno nei confronti della Chiesa: nei luoghi dei giovani, i cristiani sono minoranza. Serve comprendere i motivi di questo distacco, ma forse è ancora più importante agire. Dove c’è un pregiudizio, lo si può vincere solo offrendo una nuova chiave di lettura: il sogno è che le nostre parrocchie, le associazioni, tutti i gruppi si aprano per ascoltare i giovani; che siano comunità sempre più accoglienti, in cui nessuno si senta giudicato ed escluso. In fondo doveva essere così in quel gruppo di persone umili, fragili e ferite, ma caparbiamente innamorate del bene, che seguivano Gesù.

Il tema del Sinodo, scelto da Francesco, ha le potenzialità per coinvolgere proprio tutti. La maggior parte dei giovani, è vero, dice di non avere "fede". Ma in un mondo che ci sembra andare troppo veloce, sentiamo il bisogno di recuperare spazi di vita spirituale. È da qui che si può partire, accompagnando le domande di senso, lungo una strada nuova da percorrere insieme. E tutti noi, in questa età, compiamo le scelte decisive per la nostra vita. Anche il "discernimento vocazionale" è un cammino: nelle grandi decisioni (percorso di studi, affetti, città, lavoro…), come nella vita quotidiana.

Ogni giorno siamo chiamati a discernere: da che parte stare, come portare il nostro contributo per un mondo più equo, con meno squilibri e più diritti. La Chiesa ci ascolta, il mondo ci guarda: con umiltà, con gioia e con passione, noi ci siamo.