Chiesa

Centenario. Don Giussani e l'amicizia con Gesù

Angelo Scola sabato 15 ottobre 2022

Don Luigi Giussani con alcuni studenti, nel settembre 1956, durante la gita della quinta ginnasio del liceo Berchet al faro di Portofino. L'immagine tratta dal sito di Comunione e Liberazione

Il 15 ottobre di cento anni fa nasceva a Desio (Milano, oggi in quella di Monza e Brianza) don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione (Cl). E proprio nel giorno centenario della sua nascita, oltre 50mila persone aderenti a Cl saranno presenti all’udienza che papa Francesco ha riservato al movimento.

L’incontro è previsto per stamattina in piazza San Pietro a partire dalle 10, con la recita delle Lodi, la lettura di brani evangelici e la proiezione di interventi audio e video di don Giussani. L’arrivo di papa Francesco è previsto per le 11.30 e a porgergli il saluto iniziale sarà Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Cl. Seguiranno poi le testimonianze di Rose Busingye (fondatrice e guida dell’opera di carità Meeting Point International di Kampala, Uganda) e di Hassina Houari (ex studentessa del centro di aiuto allo studio Portofranco, Milano). La parola passerà a questo punto al Papa.

Proprio nel giorno di questo incontro pubblichiamo un ricordo della figura di don Giussani scritto dal cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano, che del fondatore di Cl è stato uno stretto collaboratore. Uno scritto che unisce il ricordo personale e l’individuazione dei punti forti dell’insegnamento di don Giussani, che iniziò fondando Gioventù studentesca tra i liceali del Berchet a Milano, per poi allargare il proprio orizzonte. «Questa udienza – scrive Prosperi in una lettera a Cl – sarà un passaggio fondamentale del cammino che stiamo compiendo».


(di Angelo Scola) Per parlare della figura di don Giussani non riesco mai a prescindere dalla prima volta che l’ho incontrato. Era intorno alla Pasqua del ’58. A quei tempi, durante la Settimana Santa, la comunità cristiana proponeva agli studenti delle superiori di Lecco tre momenti di ascolto per i quali venivano sospese le due ultime ore di lezione. Ci si recava tutti nella Basilica di San Nicolò per ascoltare le meditazioni tenute da sacerdoti provenienti da Milano.

In quel periodo io stavo vivendo un’appartenenza stanca alla vita ecclesiale. Pur rimanendo fedele alla Messa domenicale e senza aver tagliato i legami con la Chiesa e con l’Azione Cattolica, ero ormai più interessato alla politica come alla letteratura russa e americana che alla fede. Entrai perciò in Basilica passivo se non annoiato, e all’ultimo momento. Don Giussani (il suo nome lo conobbi dopo) ritto davanti al microfono svolse il tema della sua meditazione: “Gioventù come tensione”. Mi suonò singolare. Mi aspettavo altro, qualcosa di già noto: una serie di citazioni evangeliche che si concludevano con le solite raccomandazioni etiche.

Giussani invece parlava della libertà in azione, tesa al compimento delle evidenze e delle esigenze che stanno al cuore di ognuno di noi. È singolare che in “Dare la vita per l’opera di un Altro”, il volume che raccoglie le lezioni e i dialoghi degli ultimi Esercizi di don Giussani alla Fraternità di Comunione e Liberazione, questo tema ritorni come la strada per un solido nesso con la realtà (ontologia) e per la scoperta dell’autentica moralità che ne consegue.

«Come per Gesù – afferma Giussani – il rapporto col Padre è l’origine della sua consistenza, così per l’uomo la moralità nasce come simpatia prevalente, irresistibile a una persona presente, a Gesù. Al di là di tutto – attrattiva, dolore e delitto – l’attaccamento a Gesù prevale» (cit p 37). Per Giussani la moralità è una adesione amorosa che genera autentica amicizia con Gesù e con Dio.

Questa premessa di carattere personale mi consente di entrare nell’orizzonte totale della proposta di don Giussani. Di questi tempi può essere utile partire dal suo carisma. Mi limiterò ad enuclearne gli elementi a mio giudizio costitutivi. Dal 1954, quando Giussani incominciò la propria azione educativa con gli studenti, il suo punto di partenza fu la proposta dell’incontro personale con Cristo. Più volte l’ho sentito ripetere che la sua intenzione è stata fin dall’inizio rendere esistenziale l’insegnamento della Scuola di Venegono.

Preoccupato della grave ignoranza fra i giovani circa il cristianesimo e la Chiesa percepì che si parlava di Dio in modo assolutamente astratto perché non si “vedeva” il Dio vivo che è Gesù. Noi delle prime generazioni fummo così portati ad esplicitare, anche pubblicamene, questo rapporto. Non solo nell’azione liturgica e nella preghiera ma anche, e forse soprattutto, nella trama dei rapporti quotidiani con tutti i nostri compagni e con quanti incontravamo.

Paradossalmente quest’impeto missionario non trovò subito buona accoglienza, anche nel mondo cattolico. Non erano pochi, infatti, anche i sacerdoti che ci accusavano di “portar via” persone dall’oratorio o che disapprovavano la scelta dell’educazione mista – proposta a ragazzi e ragazze insieme – ma soprattutto affermavano che esplicitare pubblicamente il rapporto personale e comunitario con Gesù avrebbe impedito a quanti non erano credenti di avvicinarsi alla fede. Occorreva creare prima uno spazio neutro approfondendo problemi puramente umani e solo in seguito parlare di Gesù.

Questo primo aspetto del carisma giussaniano può gettar luce sulla prova che i cristiani stanno oggi attraversando nel nostro Paese. Soprattutto a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, il venir meno della consapevolezza della natura del fatto cristiano, anche a livello popolare, ha prodotto una rottura tra la fede in Gesù come senso del vivere e l’azione quotidiana concreta. Si può dire, in estrema sintesi, che si è perso il “per chi” io vivo, amo, lavoro, riposo, contribuisco all’edificazione della comunità cristiana e della società civile.

L’altro fattore del carisma di Giussani, che si intreccia con il primo, consiste nella coscienza, esplicitamente evangelica, che il rapporto con Cristo, il Dio vivo, domanda l’appartenenza alla comunità in cui si riconosce e si pratica il fatto stesso di avere in comune l’amabile persona di Gesù.

È questo il senso della comunità cristiana in cui si vive l’appartenenza a Cristo come condizione indispensabile per l’appartenenza reciproca. Se si smarrisce questo dato Cristo sfugge all’esperienza della contemporaneità e viene relegato nel passato.
Allora, come diceva il Lessing, una terribile frattura, che da cronologica diventa sostanziale, si stabilisce fra Lui e noi. Invece un avvenimento - specialmente quello del Dio vivo - si può comunicare solo attraverso un altro avvenimento. Se la Chiesa smarrisce questo dato elementare e si riduce a un insieme di iniziative, di strutture, di progetti elaborati a tavolino, il cristiano e la comunità intera perdono il senso del per chi si vive. E, al di là di ogni buona volontà, la comunità cristiana rischia di annoiare invece di attrarre.

Il terzo anello del carisma originario di Giussani è la consapevolezza che l’incontro con Cristo, reso possibile dalla comunità cristiana, è per sua natura destinato a tutti gli uomini: è missionario. Basti ricordare il peso dato alla presenza negli ambienti. Si articola nelle dimensioni della carità, della cultura e della missione. Sempre, ogni gesto del cristiano deve portare in sé l’eco di questi fattori. Se si guarda senza pregiudizio ma con semplicità di cuore alla natura di questo carisma si capisce bene perché lo Spirito abbia potuto generare, a partire del servo di Dio don Luigi Giussani, la realtà di Comunione e Liberazione. Nelle sue diverse espressioni è presente ormai in numerosissime diocesi del mondo e, al di là di tutti gli inevitabili limiti, continua a destare nelle diverse culture l’attrattiva per Gesù e per la Chiesa in molti uomini e donne di tutte le età.

Angelo Scola è cardinale arcivescovo emerito di Milano