Chiesa

IL RICORDO DEL CARDINALE MARTINI. Cacciari: «L'apertura ai laici fu un atto di responsabilità»

Francesco Dal Mas sabato 1 settembre 2012
​Una fede rigorosa, testimoniata con perfetto stile ignaziano, sia nella pastorale che in ambito culturale. Una fede che non ammetteva compromessi, ma accettava le diversità. E che, come tale, sapeva produrre relazione, dialogo, anche con i non credenti. Lo afferma, ricordando l’amico "Carlo Maria", il filosofo Massimo Cacciari. «Il cardinale Martini lo conobbi nel 1984-85 quando mi espose la sua idea di dar vita allora alla cattedra dei non credenti. Collaborai con lui alla definizione del progetto e alla prima edizione,  quando il tema era quello fondativo, e cioè  la dinamica della fede in rapporto al secolo, quindi come il credente si rapporta al non credente, anche all’ateo».Da quale presupposto siete partiti? Un passo indietro ciascuno?E no, semmai un passo avanti ciascuno. Si partiva da un principio fondamentale, che ogni giorno il credente stesso dubita della propria fede ma per riaffermarla con più forza. Proprio per questo la cattedra era un dialogo vero. In quella sede non cercavamo il facile compromesso, troppo facile, troppo banale.Dal dialogo e dal confronto scaturivano le differenze. Ma che non portavano ad allontanarvi…Assolutamente no. La fede che Martini ha testimoniato nella sua vita e ha reso palese anche su quella cattedra è la fede che responsabilizza.E qual è la fede che responsabilizza?È quella che è in grado di rispondere. E rispondere a tutte le domande del secolo, al di là di ogni astratta separatezza tra intelletto e ragione, tra credenza e non credenza. Una fede adulta che comprende il secolo e che in quanto fede è capace di dare risposte concrete. Altro che relativismo.Qui c’entra anche la mistica ignaziana di Martini?Sicuramente. È la fede senza moralismi, senza sentimentalismi, attenta, competente, capace. È la preghiera solida e anch’essa rigorosa.È il rigore di Martini, dunque, che ha interpellato gli intellettuali, anche quelli non credenti?Parlo per me. Io mi sento interpellato dal credente che si riconosce in quanto credente soltanto nel confronto con il non credente. Io ho sempre avuto rapporti con questa fede mai negligente, sempre "intelligente".Lo è anche la fede popolare?Sicuramente, quando è genuina. Martini ebbe uno straordinario rapporto con l’intellighenzia laica, la vera intellighenzia laica, non quella che crede che la religione sia un sintomo di superstizione infantile. Ha costretto questi intellettuali ad interrogarsi su questioni di ordine generale ma anche molto concreto. Come non ricordare l’impegno civile, sociale di Martini, i suoi discorsi sul lavoro, sulla crisi economica, sui temi etici. E come dimenticare il modo con cui Martini si esprimeva. Ignazianamente, cioè in termini sempre ordinati. D’altra parte, la mistica ignaziana insegna a non lasciarsi mai sopraffare da passioni disordinate, ricordiamo quindi la classe di Martini, sintomo esteriore di un’anima profondamente ignaziania.Tutto il contrario, dunque, di quanti hanno affermato che alla Cattedra dei non credenti si insegnava - anche da parte sua, professor Cacciari - a vivere senza fede e senza certezze...Come è possibile scrivere queste sciocchezze? Sa qual era la vera straordinarietà di Martini?.Quale?La profonda convinzione della assolutezza del cristianesimo. Se Gesù fosse un maestro come ce ne sono tanti altri, perché uno si dovrebbe dire cristiano? Martini, questa sua fede così profonda, rigorosa, ancorché percorsa da timori e tremori, ha saputo viverla, non solo testimoniarla, fino a produrre dialogo, confronto, comprensione, misericordia. È una fede, la sua, che si è fatta prossimo. Tutt’altro che: vogliamoci bene, abbracciamoci insieme perché siamo tutti uguali.Fede e solidarietà. Ecco un altro binomio che ha avvicinato gli intellettuali.Lo scrivemmo insieme ancora nel 1995, quando addirittura dicemmo che bisognava creare una rete di solidarietà contro l’intolleranza.Martini mancherà anche all’intellighenzia laica?Mancherà sicuramente a noi intellettuali, come mancherà alla Chiesa. Lui aveva compreso che le forme della predicazione del Verbo sono radicalmente insufficienti, viziate da moralismi, da culturalismi, su tutta una serie di temi. Anche di frontiera. E ne soffriva enormemente.