Chiesa

Intervista. Brambilla: «Costruire l’umano? È più importante del Pil»

Luciano Moia venerdì 16 ottobre 2015
Preparare i giovani al matrimonio e alla famiglia, «costruire l’umano», vale almeno quanto l’aumento del Pil. E per farlo c’è un percorso privilegiato, il segreto di Nazareth, che è poi un segreto di famiglia. Tornare a Nazareth vuol dire rivoluzionare la nostra prospettiva pastorale che oggi rivolge agli individui e dimentica il valore della relazione. Lo sostiene il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, vicepresidente Cei per il Nord Italia e relatore al Circolo minore italiano C.Nel documento presentato mercoledì dal gruppo di cui lei è relatore si fanno due riferimenti che, per la famiglia dei nostri giorni, sembrano lontani anni-luce: la famiglia di Nazareth e i primi trent’anni della vita di Gesù. Perché sono così importanti? Semplicemente perché si tratta del Vangelo. È vero che dei primi trent’anni si ricorda solo una parola di Gesù: "Non sapevate che devo essere nelle cose col Padre mio" (Lc 2,49). Questo è il "segreto di Nazareth". Gesù ha "dimorato" per trenta interminabili anni nella vita della famiglia di Nazareth, nella fede, nella preghiera e nella tradizione dei padri, nella vita brulicante di Galilea, nei panorami mozzafiato del lago. Ha imparato, osservato, assimilato le parole e i gesti del suo popolo. Perché tutte le metafore evangeliche e i gesti sconvolgenti di Gesù ci parlano ancora oggi? Perché sono la parola di Dio in gesti e linguaggi umani, vissute nel grembo della sua famiglia e del suo popolo. Per questo ho parlato di eloquenza dell’incarnazione del Verbo. Da dove vengono le parabole di Gesù, dove si nutre la sua prossimità ai poveri, alle donne, agli ultimi, i suoi gesti dirompenti e le immagini che hanno cambiato la vita e i costumi del mondo? Vengono dal suo grembo familiare, dal segreto di Nazareth. La prima parola di Gesù sulla famiglia si radica come il granello di senape nel grembo di Nazareth. Questo sguardo, questa terra, è la carne della Parola di Dio. Ad essa dobbiamo sempre tornare.Avete anche ribadito la necessità di pensare il legame Cristo-Chiesa-Eucaristia come ponte per l’azione dello Spirito.Vale anche per famiglie disgregate o in difficoltà?Se si pensa in modo forte la metafora della Chiesa come corpo di Cristo, sia le membra sane, sia quelle ferite, devono dire e donare Cristo al mondo. Tutte le membra del corpo gioiscono per quelle forti e curano quelle deboli: contro il gelido individualismo moderno sentirsi dentro un corpo che porta l’energia e i pesi dei suoi membri, non è un modo forte per creare legami in questa società che moltiplica le solitudini? Se il Sinodo ci spingesse a questo sarebbe già un grande risultato: convertire il "fratello maggiore" che è in noi, è un forte invito a rientrare nella casa della Chiesa non più come mercenario, ma come fratello che accoglie il "fratello minore" perduto e ritrovato.A proposito di comunità, l’auspicio che si trasformino concretamente in "famiglia di famiglie" viene avanzato come antidoto alla deriva individualista. Sogno o strategia concreta?Il nostro circolo ha scritto: il valore evangelizzante della famiglia "comincia con lo stile di testimonianza della vita quotidiana familiare". Credo che uno dei segni della povertà della nostra pastorale è che essa s’indirizza quasi solo agli individui, ma non parte dai legami già dati (uomo-donna, genitori-figli, i legami di amicizia e di responsabilità sociale, ecc.). Non prende come punto di partenza e strumento il tessuto umano esistente. Prima di parlare di progetti e strategia bisogna mutare lo sguardo, chiedendosi semplicemente: la parrocchia, la comunità cristiana parte dai legami già dati, e costruisce sempre più legami? Facciamo meno cose e costruiamo più relazioni. Si può fare questo senza le famiglie?Altro obiettivo importante, quello di un maggior impegno nell’"iniziazione dei giovani". Non crede che questo obiettivo vada pensato su basi completamente nuove?Questo è un punto su cui cambiare fortemente prospettiva. Bisogna passare dalla preparazione al matrimonio, a un percorso di "iniziazione alla vita a due", senza ingenui idealismi, ma anche accompagnando la questione essenziale: oggi per i giovani è diventata un’impresa diventare adulti. Il "particolare impegno" sollecitato dal nostro circolo per percorsi di "iniziazione dei giovani" al matrimonio e alla famiglia è un lungo cammino che deve iniziare già nel momento adolescenziale e giovanile con l’educazione degli affetti. Pastorale giovanile, familiare, scolastica e insegnamento della religione non devono concorrere insieme a questa opera? Anzi, io direi che si tratta di un "lavoro" che ha come scopo di costruire l’umano, da apprezzare socialmente almeno come l’aumento del Pil. Qui si prepara il patrimonio di un Paese. Bisogna puntare sulla "core generation" (24-40 anni), che è il nostro futuro prossimo.