Chiesa

Il Papa in Iraq. Bassetti: «Solidarietà, dovere cristiano. L'indifferenza, un peccato»

Giacomo Gambassi sabato 6 marzo 2021

Il cardinale Gualtiero Bassetti con alcuni profughi dell’Iraq e della Siria durante la sua visita in Libano nel 2018

«La solidarietà è un dovere. Soprattutto in questo tempo così complesso segnato dalla pandemia». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, prende spunto dalla «storica visita» di papa Francesco in Iraq, come la definisce, per lanciare un monito contro la «cultura dell’indifferenza». «Volgere lo sguardo dall’altra parte di fronte ai drammi dell’umanità; far finta di non vedere le diseguaglianze, lo sfruttamento, le povertà o le violenze; non tendere la mano a chi ha bisogno è un peccato in cui non possiamo rischiare di cadere in un frangente dove il virus si accanisce su tutte le nazioni».

A Bassetti sta particolarmente a cuore l’Iraq: perché un lungo ponte di sostegno lo lega all’Italia grazie alla Cei; perché il dramma della fuga di cristiani (e non cristiani) a causa della guerra e delle persecuzioni ha visto in prima linea anche la Chiesa italiana attraverso i corridoi umanitari; perché il Paese è stato uno dei protagonisti dell’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che lo scorso anno ha riunito a Bari per la prima volta i vescovi di venti nazioni che insistono sul bacino. «È con gioia e vicinanza che l’intera Chiesa italiana sta accompagnando nella preghiera il Papa durante il suo pellegrinaggio nella terra di Abramo che è culla per la nostra fede. La visita rappresenta un segno di speranza per l’intera famiglia umana. Anzitutto, perché ci dice che il coronavirus non ha fermato la vita e che – sempre rispettando le limitazioni e le misure anti-contagio – è necessario essere oggi più che mai accanto a chi soffre ed è ferito».

Eminenza, l’Iraq con i suoi tormenti interroga il mondo. E anche l’Italia?

Il viaggio di Francesco è come un grido che si alza contro le guerre, i radicalismi religiosi, le violenze. Il Pontefice visita una terra che è lo specchio delle contraddizioni del pianeta, dei suoi problemi, delle sue ingiustizie. La presenza del Papa intende essere un richiamo al «vincolo della pace» che deve unire le donne e gli uomini a ogni latitudine, si direbbe citando l’apostolo Paolo.

L’Iraq è stato uno dei Paesi rappresentato al “G20 ecclesiale” sulla pace nel Mediterraneo.

La visita del Papa è stata caldeggiata con forza dal cardinale Louis Raphaël Sako, a cui mi lega una profonda amicizia. Il patriarca Sako è stato un fondamentale interlocutore durante l’Incontro di Bari. E ci ha portato la testimonianza di una terra segnata dai conflitti, che ha vissuto e vive la tragedia dei fondamentalismi e delle discriminazioni che minano la convivenza civile, che tocca con mano lo sfruttamento da parte dei Paesi “ricchi”, le sperequazioni sociali, i giochi di potere dietro cui si nascondono interessi economici e politici. Non possiamo arrenderci di fronte a questi drammi.

Il patriarca caldeo di Babilonia ha più volte denunciato l’emorragia di cristiani dal Paese. Che cosa fare?

Un mio particolare pensiero va ai nostri fratelli nella fede, una minoranza perseguitata che rischia di scomparire e vive l’esperienza del martirio. Il sangue versato in nome del Vangelo deve scuotere le nostre coscienze di credenti. Come Chiesa siamo tenuti a essere al loro fianco: con la preghiera e soprattutto con gesti concreti di prossimità. In questi anni la Cei ha realizzato numerosi progetti di aiuto per le parrocchie o per i giovani. Anche io avrei dovuto visitare l’Iraq oltre un anno fa; ma prima le rivolte interne e poi l’emergenza sanitaria mi hanno costretto a rinviare la visita. Tuttavia l’Iraq mi resta nell’animo come luogo benedetto dal Signore che non può essere immaginato senza i cristiani.

L’Iraq richiama anche la grande questione delle migrazioni. Come comportarsi?

In centinaia di migliaia hanno lasciato il Paese per i conflitti e gli estremismi. È un imperativo per il cristiano l’accoglienza del prossimo. Ma, come dice la campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare”, è nostra responsabilità anche aiutare le persone a rimanere nei loro Paesi. Occorre uno sforzo collettivo perché siano migliorate le condizioni di vita nelle terre d’origine. Al centro deve esserci il concetto di cittadinanza che implica il rispetto dei diritti umani e un’equa distribuzione dei beni. Perché non c’è pace senza giustizia.

Poi c’è la sfida del dialogo fra le fedi, in particolare con il mondo musulmano. Un significativo passo in avanti è stato compiuto con il Documento sulla fratellanza umana firmato ad Abu Dhabi nel 2019.

Papa Francesco visita la terra di Abramo. Giorgio La Pira, che è stato l’ispiratore dell’Incontro sul Mediterraneo a Bari, vedeva nel grande mare l’unica radice della grande famiglia abramitica, ossia di cristiani, ebrei e musulmani. Il viaggio del Santo Padre è un invito alla fraternità che è forza intrinseca al genere umano. San Paolo afferma che c’è «un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti». Ecco, unica è la famiglia umana. Lo ha evidenziato con lungimiranza profetica il Papa nell’enciclica Fratelli tutti. Non può essere giustificata «la tentazione di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti». Via maestra è il dialogo: fra tutti gli uomini, e quindi anche fra le religioni. Si tratta della risposta anche alle derive radicali e alle persecuzioni. «Siamo tutti sulla stessa barca», avevano riaffermato i vescovi del Mediterraneo a Bari e ha ripetuto papa Francesco nella preghiera contro la pandemia in piazza San Pietro di un anno fa. La Chiesa è chiamata a essere fermento di una nuova civiltà dove il male e le sopraffazioni non scandiscano il quotidiano. E il viaggio del Papa in Iraq è testimonianza di questo impegno che non conosce confini.