Chiesa

Causa beatificazione. Ballestrero, pastore dell'incontro

Marco Bonatti venerdì 10 ottobre 2014
Sarà, se tutto procede per il verso giusto, il primo arcivescovo di Torino a diventare beato, e l’unico dei tempi moderni. Il processo canonico dedicato al cardinale Anastasio Alberto Ballestrero si è aperto ufficialmente giovedì scorso nell’Arcivescovado di Torino, in quella "sala dei vescovi" che raccoglie i ritratti dei 98 suoi predecessori. Il suo terzo successore, Cesare Nosiglia, ha aperto ufficialmente la causa, firmando il relativo decreto e istituendo i gruppi di lavoro (periti, giudici, promotore di giustizia) che insieme al postulatore dovranno raccogliere il materiale, sentire i testimoni, vagliare tutti gli elementi e infine fornire un parere sul proseguimento o meno della causa al secondo livello, presso la Congregazione vaticana delle cause dei santi. Il lavoro per così dire più gravoso tocca a padre Romano Gambalunga, il giovane frate carmelitano che ha assunto l’incarico di postulatore. L’avvio del processo si è celebrato a 101 anni esatti dalla nascita del cardinale. Alberto Ballestrero nacque infatti a Genova il 3 ottobre 1913, primo di cinque figli. Entrato giovanissimo nel Seminario dei Carmelitani Scalzi al Deserto di Varazze bruciò tutte le tappe: prete a 23 anni, poi priore del convento di Sant’Anna e superiore della Provincia carmelitana ligure a 37, superiore generale dell’Ordine a 42. Ricoprì questa carica per due sessenni, e fu il primo generale carmelitano a compiere più volte il giro del mondo per visitare tutte le comunità maschili e femminili dell’Ordine, da Avila fino all’Argentina e a certi remoti monasteri nel Sud dell’India o nelle isole del Pacifico australe. Come superiore generale partecipò a tutte le fasi della preparazione e alla celebrazione del Concilio Vaticano II e fu tra i principali collaboratori di Paolo VI. Nel 1973 papa Montini lo destinò alla sede arcivescovile di Bari per poi trasferirlo a Torino (1977) dove rimase fino al gennaio 1989, affrontando le situazioni difficili del post - Concilio e l’emergenza degli "anni di piombo". Accolse, in una visita rimasta storica, Giovanni Paolo II il 13 aprile 1980; e gestì, con grande sofferenza e grandissimo senso di responsabilità, vicenda della datazione della Sindone con il metodo del carbonio C14. Ma il vero "mestiere" di padre Anastasio era quello di predicatore e direttore spirituale: qui la sua capacità di parola, la grande esperienza umana, il dono di entrare in empatia con le persone hanno fatto in modo che, anche a distanza di molti anni, gli incontri con lui siano rimasti segnati in modo indelebile nel cuore delle persone - monache, preti, laici. All’apertura del processo monsignor Nosiglia, che fu suo collaboratore alla Cei durante la presidenza di Ballestrero (1979-1985) ne ha ricordato le grandi doti umane riferendole in particolare al ruolo avuto nel Convegno ecclesiale nazionale di Loreto (1985), quando «la sua capacità di sintesi e di fare riconciliazione fra le diverse anime del cattolicesimo italiano – ha detto l’arcivescovo di Torino – lo faceva apparire davvero come un padre della Chiesa». Il processo canonico avrebbe dovuto svolgersi a La Spezia, diocesi in cui Ballestrero morì (nel Fortino del monastero carmelitano di Santa Croce, a Bocca di Magra, il 21 giugno 1998). Ma si chiese il permesso di trasferire la causa a Torino, per competenza. È stata la famiglia religiosa carmelitana a decidere di promuovere la causa, grazie soprattutto a padre Giuseppe Caviglia, che del cardinale fu segretario per 25 anni e che ha raccolto, con grande amicizia e devozione, una prima nutrita serie di materiali, testimonianze, pubblicazioni intorno alla figura di padre Anastasio. All’apertura della causa erano presenti, insieme al cancelliere arcivescovile monsignor Giacomo Maria Martinacci, il delegato dell’arcivescovo don Giuseppe Tuninetti e il promotore di giustizia monsignor Valerio Andriano. C’erano anche, oltre a padre Giuseppe e ai suoi confratelli carmelitani, alcune suore di Santa Teresa di Torino, che furono sempre molto vicine a Ballestrero negli anni del suo episcopato torinese.