Chiesa

L'intervista. Bagnasco: avanti senza paura, nella sinodalità

Mimmo Muolo lunedì 16 novembre 2015
​È il momento della preghiera. Quanto più forti sono lo sgomento e la sofferenza per gli attacchi terroristici di Parigi, «tanto più intensa si deve levare la nostra supplica a Dio perché prevalga la pace». Il cardinale Angelo Bagnasco è passato in poche ore dalla gioia per il positivo svolgimento del V Convegno ecclesiale della Chiesa italiana al dolore di fronte alle immagini e alle notizie che arrivavano dalla capitale francese. «È un attacco all’umanità – afferma, il giorno dopo, l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei –. A Firenze abbiamo parlato anche di "umanesimi negati". Questa strategia del terrore è molto di più e serve una collettiva sincera indignazione per dire no a tanta brutalità».Nella conferenza stampa conclusiva, qualche ora prima della strage, lei aveva risposto a una domanda sul pericolo di attacchi fondamentalisti. Qual è ora l’atteggiamento da tenere?È un fatto terribile, ma non dobbiamo chiuderci nel fortino e avere paura. Se alle autorità civili e alle forze dell’ordine tocca garantire la sicurezza dei cittadini, noi come Chiesa, dobbiamo pregare - e infatti oggi in tutte le chiese italiane si pregherà per le vittime, per i feriti, per i soccorritori e per le loro famiglie –e dobbiamo moltiplicare l’impegno per pace, la riconciliazione, la convivenza civile. Anche l’Europa può fare uno scatto di solidarietà e di unità e riscoprire la sua anima.Temi, questi, emersi anche nei lavori del Convegno. Quali sono state, dunque, le parole chiave di Firenze 2015?A livello di metodo lo stile di sinodalità: una strada sulla quale intendiamo procedere. Per quanto riguarda i contenuti, il Papa ci ha illuminato e orientato, invitandoci a non avere paura, a continuare sulla via di una fede operosa, esortandoci a uscire dalle nostre comunità per essere accanto ai poveri, che sono la carne di Cristo. E proprio alla luce dell’insegnamento del Santo Padre abbiamo riletto tutte le tematiche: l’evangelizzazione, la centralità della famiglia nell’educazione, il ruolo della scuola e la cattedra dei poveri. Perché nella misura in cui aiutiamo chi è nel bisogno, noi stessi cresciamo in umanità.Quale volto di Chiesa emerge dal Convegno?Una Chiesa dialogante, gioiosa, unita. Ho visto tanto entusiasmo durante i lavori e una gran voglia di camminare su sentieri antichi e nuovi.Lei ha accennato anche alle ombre. A che cosa si riferiva?A tutte le ombre: nella vita civile, nella vita politica e anche all’interno della Chiesa. Dobbiamo riconoscerle onestamente. Soffrirne, ma non lasciarci schiacciare. Spero che il popolo di Dio non si faccia fuorviare e intristire da queste negatività. Al contrario, bisogna restare accanto a tanti sacerdoti, religiosi e religiose che ogni giorno si spendono per il Vangelo.Il gran discorso del Papa resta il punto di riferimento principale del Convegno. Qualche giornale ha parlato di uno «schiaffo» alla Chiesa italiana. Lei lo ha sentito?Ma per carità. Semmai il Papa è stato ancor più affettuoso nelle parole, nei gesti, nella presenza. Noi vescovi, le comunità, la Chiesa in Italia, tutti abbiamo sentito la sua vicinanza paterna, oltre agli alti contenuti del discorso, e lui ha sentito il nostro affetto. Questa è la sostanza. Altro che schiaffo.Che cosa significa dunque una Chiesa umile e senza l’ossessione del potere?Ritengo che la Chiesa, la politica, la famiglia, la comunità cristiana debbano stare al proprio posto, ma in uno stile di collaborazione e di partecipazione. Se il potere è arroganza di imporsi agli altri, non può far parte dell’agire della Chiesa. E la rilevanza dei cattolici nella cultura e nella società non consiste tanto nel peso specifico misurato secondo le logiche laiciste. La vera rilevanza, per noi cristiani, è la fedeltà al Vangelo.Dunque, distanza o presenza nel dibattito pubblico?Presenza. Assolutamente presenza. Di laici formati con la dottrina sociale della Chiesa e sotto il profilo culturale. Oggi più che mai c’è bisogno di una valutazione critica per poter abitare (uno dei verbi di Firenze) un momento di grandi cambiamenti, in cui l’umano rischia di perdersi in nome di categorie diverse. L’individualismo e il liberismo inducono a considerare la persona come importante solo se produce. Il valore della vita non è riconosciuto in tutte le sue fasi, il lavoro a volte è concepito in termini di sfruttamento oppure non c’è, il welfare è piuttosto debole in questo momento (e meno male che la Chiesa spesso supplisce, come dimostrano i 6 milioni di pasti distribuiti ogni anno nelle mense cattoliche). Quindi è necessario che i laici siano assolutamente presenti nel dibattito pubblico.E i pastori?Il loro compito fondamentale è quello di annunciare il Vangelo e aiutare le coscienze a formarsi rettamente.Il Papa parla di una Chiesa povera. Quale rapporto con i beni, dunque?I beni materiali e finanziari sono in funzione della missione della Chiesa e dell’aiuto ai poveri. Perciò devono essere gestiti bene. Il Papa del resto non li demonizza, ma richiama continuamente a uno loro corretto uso.Quale Chiesa ritorna dunque nelle diocesi e nelle parrocchie, dopo Firenze?Una Chiesa che ha più gusto nell’annuncio, che cammina insieme, che dialoga e cerca di trovare vie nuove per essere sempre più lievito nella società. Mi pare che stia maturando la coscienza che non possiamo ritirarci nelle nostre comunità. Dobbiamo essere fermento a servizio del Paese intero.Il Papa ha chiesto di approfondire «in modo sinodale» l’Evangelii Gaudium. Sinodo italiano o via italiana alla sinodalità?Sicuramente il Papa parla di un cammino sinodale e così l’abbiamo vissuto a Firenze e anche nella preparazione dell’evento. Detto questo, dentro una via, uno stile e un metodo sinodale (che è camminare insieme) può nascere qualunque cosa. Ma insieme.Lei ha preso parte al Sinodo sulla famiglia. Qual è la sua valutazione sui lavori?È stato un grande spazio per dialogare, presente sempre il Santo Padre, su tutte le problematiche della famiglia, anche se il problema cui a volte, purtroppo, è stato ridotto è "comunione si o no" ai divorziati risposati. Il Papa non voleva assolutamente questo riduzionismo e spesso ne ha parlato. Anzi, voleva una riflessione globale dei padri sinodali su tutta la realtà del matrimonio e della famiglia. E in effetti ci siamo chiesti come aiutare l’educazione affettiva dei giovani, perché questa fragilità dei legami, qual è il contesto culturale che i nostri ragazzi respirano, perché ci sono tante separazioni, qual è la situazione delle altre culture e quali vie pastorali intraprendere. È stato quindi un Sinodo a tutto campo.È dunque una lettura affrettata quella di chi ha scritto che il Sinodo ha aperto alla comunione ai divorziati risposati?Ma certamente. Del resto, basta vedere la relazione finale, che dice cose precise. Questa è una lettura ideologica. Pregiudiziale.Siamo prossimi al Giubileo. Qual è il rapporto con il Convegno di Firenze?Se la misericordia è l’amore di Dio assolutamente fedele all’uomo, qualunque situazione egli viva, se si esprime nella dimensione della tenerezza, del prendersi cura degli altri e del continuo generare la vita, quello che noi abbiamo detto nel Convegno è che cercheremo di intensificare nella pratica l’espressione della misericordia di Dio. Curarsi delle famiglie, dei giovani, dei poveri, intensificare l’opera educativa, annunciare il Vangelo non sono forse atti di amore misericordioso?