Chiesa

LITURGIA. L'Annuncio del giorno di Pasqua

Marcello Palmieri sabato 5 gennaio 2013
Nell’Epifania, la pienezza del Natale. E nella gloria di Cristo che si manifesta luce per tutte le genti - simboleggiate dai Magi -  ecco già splendere uno scorcio della Risurrezione. C’è un elemento, nella liturgia di questa solennità, che il secondo aspetto evidenziato lo presenta in modo esplicito: è l’”Annuncio del giorno di Pasqua”, quella proclamazione che si può incastonare tra il Vangelo e l’omelia. Nel cuore della Messa, tanto per intenderci. Di ogni Messa che si celebra tra il tramonto della vigilia e la sera del 6 gennaio.  La sua origine si perde nella notte dei tempi. A Milano ricordano che Sant’Ambrogio, in questo giorno, oltre ad annunciare la Pasqua annotava il nome di coloro che avrebbero dovuto essere battezzati nella veglia di Risurrezione. E si narra di una volta in cui il futuro patrono affermò sconsolato: “ho tratto le reti fin dall’Epifania, ma esse sono rimaste vuote”. Ancor oggi l’”Annuncio” è previsto sia dal rito romano che da quello ambrosiano, ma le 2 tradizioni presentano testi diversi. A spiegarli è monsignor Claudio Magnoli, nell’arcidiocesi di Milano responsabile del Servizio per la pastorale liturgica. “Differenza più evidente - annota il prelato -, è che nella versione ambrosiana viene indicata solo la data della Pasqua, mentre quella romana presenta anche i giorni di alcune altre festività mobili: le Ceneri, l’Ascensione, la Pentecoste, la prima domenica di Avvento”. Ma non è solo questione di numeri.  “L’’Annuncio’ ambrosiano - prosegue il liturgista -, della Pasqua sottolinea in modo specifico 2 dimensioni: misericordia e gioia. La prima ci rende consapevoli del fatto che, se giungeremo a celebrare la Risurrezione, sarà per bontà di Dio. La seconda, invece, riprende il tema tipico di quella grande solennità”. Prospettiva un po’ diversa per il rito romano: “qui il giorno di Pasqua è presentato come il centro di tutto l’anno liturgico, una sorta di data zero da cui scaturiscono le altre festività variabili”. Ma elemento comune a questi 2 riti, la solennità del testo. “Per questo - raccomanda il liturgista - dove possibile è bene che sia cantato. Dal diacono, piuttosto che dallo stesso sacerdote. Oppure anche da un solista laico”. Il testo viene così elevato a vero e proprio elemento rituale, acquista una risonanza molto più ampia rispetto a quella di una semplice lettura. Le melodie qui proposte all’ascolto sono quelle originali in canto gregoriano (per la versione romana) e ambrosiano (per quella milanese), adattate al testo italiano. Ad accomunarle, un elemento simbolico di non poco conto: entrambe richiamano l’annuncio della Risurrezione previsto dal rispettivo rito. Quello che viene intonato la notte di Pasqua. Ma non solo. La struttura stessa dell’Annuncio pasquale (che nel rito ambrosiano canta semplicemente “Cristo è risorto”, mentre in quello romano si articola in una corposa rilettura della storia salvifica culminante con la lode del cero, immagine del Signore vittorioso sul peccato e sulla morte) ricalca fedelmente l’impianto formale di quello che viene proclamato il 6 gennaio. Stringato a Milano, più elaborato a Roma e nella Chiesa universale. Eppure, lo si diceva all’inizio: in entrambe le tradizioni ecclesiali, l’Epifania è  pienezza del Natale. E anticipazione della gloria che irradia Cristo risorto.