Chiesa

Il convegno ecclesiale di Firenze. Annunciare: creare relazioni e accompagnare

Flavia Marcacci venerdì 13 novembre 2015
1. Rallegrati! «Rallegrati», dice l’angelo a Maria (Lc 1,26). L’annuncio ha da subito il sapore della “gioia”. Come la Vergine, sperimentiamo davvero l’Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo.  E prima di inoltrarci nella sintesi mi piace restituire uno stato d’animo che mi è stato condiviso dai moderatori della via Annunciare, da molti facilitatori e partecipanti. Confrontarci sul Vangelo ha generato gioia. Quello del convegno è stata l’occasione preziosa per fare un’esperienza positiva di Chiesa, in un tempo di tensione che ha affaticato e fatto soffrire molti fedeli. Annunciare è gioire, è aumentare la propria vita (EG 10); è «osare», afferma un gruppo; «è condividere», perché non esiste gioia che non senta il bisogno di essere condivisa. La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione (BENEDETTO XVI, 13 maggio 2007, cit. in EG 14). Annunciare la gioia, non la paura: la gioia non è allegrezza da esibire, né superficialità, né senso di superiorità, né sarcasmo, né cinismo, ma profondità, leggerezza e umiltà. Annunciare è la novità che si matura nell’ascolto, e nei gruppi è emerso un grande desiderio di mettersi in ascolto, ancor prima di parlare. Come ascoltare? Lasciandoci guidare dai misteri centrali della nostra fede. «Puntate all'essenziale, al kerygma. Non c'è nulla di più solido, profondo e sicuro di questo annuncio» (Discorso di papa Francesco). Proprio il kerygma ci restituisce la dinamica complessiva dell’annunciare: il Verbo incarnato (che dà attenzione alla concretezza delle situazioni reali delle persone con le quali Gesù ha comunicato mediante una parola semplice, diretta, chiara, carica di verità), Gesù che è morto (e che muore nelle difficoltà, nei fallimenti, nella sofferenza e nell’esperienza della morte che ognuno di noi può aver fatto), Gesù che è risorto (perché la morte offerta per amore non è l’ultima parola, perché quello che all'uomo sembra impossibile e assurdo non è impossibile a Dio, perché si possa sperimentare la salvezza e la gioia di una esistenza trasfigurata, carica di prospettive e capace di sperare).  2. Nel mistero dell'Incarnazione Gesù si è incarnato, «la dottrina è carne», ci ha detto il papa martedì. Come portare questa carne, iniziando da chi è indifferente o lontano? È forte in tutti i gruppi di lavoro la volontà di creare relazioni, prendersi cura e accompagnare. Questa volontà è un desiderio che nasce dal vivere prima di tutto la bellezza della relazione personale con Gesù, che va curata e custodita nella propria interiorità e nelle comunità. Per donare Gesù agli altri è essenziale creare percorsi di accompagnamento concreto e personalizzato. Ogni persona è degna della nostra attenzione (EG 274) che diventa ascolto delle esperienze concrete. Gesù si conosce tramite la sua Parola, tramite la Scrittura, che ha valore performativo e crea «relazioni vere di incontro e condivisione», come spiega un gruppo. « È questo il primo passo – ha sottolineato un altro gruppo – per l’instaurarsi di una vera relazione: il linguaggio della vita». È questo l’umanesimo che già c’è nelle nostre Chiese e che vuole ancora più centralità e vigore. Qui anche l’importanza della testimonianza, che suscita domande e rende desiderabile camminare con Gesù. Si può testimoniare solo dopo aver fatto esperienza concreta di Gesù, e dopo aver rinnovato la nostra risposta alla domanda: «Ma voi chi dite che io sia?» (cf. Mc 8 e par.). Così l’annuncio rigenera chi annuncia, come un gruppo afferma: «L’annuncio è uno spazio che genera partecipazione e fa sentire accolti». «La dottrina cristiana non è un sistema chiuso, incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo» (Discorso di papa Francesco). Spesso incontriamo persone che sono lontane dalla Chiesa, addirittura sospettose: sono «coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato» (EG 14). Come incontrarle nel modo in cui Gesù ha incontrato Zaccheo e la Samaritana? O, anche, come fare con coloro che provengono da realtà culturali molto diverse dalla nostra? Conoscerli e poi tornare alle radici dell’umano permette di costruire una Chiesa di inclusione e non di esclusione, perché l’umano è il luogo dove si radica la verità di Dio, quella verità «che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare» (EG 265). L’annuncio, così, si fa eloquente quando è fatto di gesti che hanno il gusto della carità animata dall’adesione a Cristo, dall’imitazione delle sue azioni, dal racconto dei suoi miracoli e dei suoi incontri con le persone. Ma anche chi già cammina da tempo ha bisogno di ascolto e di rinnovare la propria mente per non “raffreddare” la propria umanità. L’incontro con la differenza, la percezione dei propri limiti e la consapevolezza di essere amati porta a tornare sulle proprie motivazioni e a riscoprire in noi il volto di Cristo e la sua infinita tenerezza (cf. EG 3). 3. Ai piedi della croce Afferma papa Francesco: desideriamo una «stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa!» (EG 260). Ma «come cantare i canti del Signore in terra straniera?» (Sal 137,4), si chiede il salmista: in quella terra straniera che è il dolore, la solitudine, la contraddizione, la morte? È una terra straniera perché non siamo fatti per il dolore. È una terra straniera perché sempre irta di difficoltà e contraddizioni. Gesù muore per noi. E allora chi annuncia impara dapprima a morire a se stesso. Sempre nell’uomo c’è il rischio dell’egocentrismo e di annunciare se stesso. Inoltre oggi sembra più difficile di ieri portare il vangelo, ma è solo diverso, per le specifiche difficoltà legate alla nostra epoca (EG 263), piena di sfide che possono però diventare occasioni di annuncio. Ecco alcune difficoltà emerse dai gruppi, a titolo puramente emblematico: • Autoreferenzialità. • Devozionismo. • Clericalismo. • Povertà formativa: "Molti nostri operatori sono animati da un grande cuore, ma il grande cuore non basta". Quando prevalgono questi elementi , l’annuncio si fa difficile, impossibile o sterile. Serve piuttosto formazione, comunione, creatività e credibilità per annunciare.  4. Nello Spirito del Risorto La speranza è legata alla progettualità. E alla certezza che Cristo è già risorto, fonte della gioia. Abbiamo bisogno di un radicamento interiore, cioè «della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché ‘abbiamo questo tesoro in vasi di creta’ (2Cor 4,7)» (EG 279). Un tesoro, nascosto quasi come la vita nascente in un grembo materno. Un gruppo in particolare ci dona un’immagine molto suggestiva: «Maria che visita Elisabetta può essere vista come icona di colei che con umiltà reca concretamente colui che annuncia». Come ha detto papa Francesco: «Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna e accarezza» (Discorso di papa Francesco). Così aiuta a crescere e maturare. Ribadisce un gruppo: «La Chiesa ha un volto femminile, come quello di Maria, che porta Gesù nascosto nel grembo e in questo modo lo porta incontro a ogni persona». Per questo più la Chiesa dà parola alle famiglie che la compongono, più diventa Chiesa madre. Cosa propongono in sintesi i 500 della via Annunciare? Quali impegni chiedono alla Chiesa oggi in relazione alla nostra via? - Passare da una attenzione esclusiva verso chi viene evangelizzato a una specifica attenzione a chi evangelizza. Qui emerge tutta l’importanza della comunità ecclesiale come soggetto di evangelizzazione e al suo interno, in particolare, delle famiglie. - Attenzione alla formazione. Vari gruppi considerano necessaria «la revisione del sistema educativo della Chiesa»: non solo l’iniziazione cristiana e l’educazione dei bambini e dei ragazzi, ma la stessa formazione degli operatori, con particolare attenzione agli itinerari formativi che coinvolgono preti, religiosi e laici, uomini e donne. Del resto «Gesù lavorò molto con i propri discepoli», nota un altro gruppo. «Occorre il coraggio di partire da sé stessi». Occorre professionalità, rigore e capacità di attingere dalla ricchezza della cultura cristiana per poi confrontarsi davvero con le istanze del nostro tempo. - Quanto alla modalità della proposta occorre continuare il lavoro circa il rinnovamento degli itinerari: con adulti, con giovani coppie, con adolescenti e giovani, con bambini e famiglie, e così via, coinvolti nei cammini dell’iniziazione cristiana. Anche la ritrovata attenzione allo stile catecumenale aiuta a ideare non corsi ma percorsi, dove offrire contenuti, ma soprattutto aiutare a vivere sempre più autenticamente il Vangelo.  - Infine è stato manifestato grande interesse alla questione dei linguaggi: occorre che siano chiari e diretti, semplici e profondi, capaci di portare a tutti la Parola. È così profonda la sete di Parola che si chiede di condividerla e non riservarla ai soli specialisti, pur riconoscendo l’importanza del loro lavoro. Ecco esemplificate in maniera più ampia alcune proposte dei gruppi, raccolte per grandi aree di attenzione: Annunciare significa mettere al centro il Vangelo • Vari gruppi sottolineano «l’importanza della conoscenza della parola di Dio», fino a farla diventare un’esperienza ordinaria della formazione cristiana. Occorre rimettere al centro della vita della Chiesa l’ascolto del Vangelo, elemento di unione e di aggregazione. Altri sottolineano che occorre «saperlo attualizzare», perché esso genera realmente «un profondo processo di conversione personale, comunitaria e pastorale».  • Ciò richiederà alle comunità cristiane di essere spazi di incontro con la Parola, fatti di silenzio, di preghiera, di contemplazione, di studio, di ricerca innovativa. Preziosa sarà quindi la lectio divina e la lettura popolare della Bibbia; ma anche esperienze innovative, simpatiche e di incontro sulla Parola. Un contributo giunto tramite facebook chiede: «Sentiamo il bisogno che la Bibbia ci sia riofferta, ci sia spalancata con il vigore della lettura, della predicazione, del teatro, dell’arte, della musica». Annunciare significa agire, decentrarsi, aprirsi a tutti • È l’ascolto meditato e pregato del Vangelo che permetterà allo Spirito Santo di portare la comunità sulle strade degli uomini, per incontrare le fragilità dell’umano, negli incroci dei sentieri della vita in un percorso fatto di vicinanza, accoglienza, incontro, accompagnamento e condivisione, con grande attenzione alle esigenze dei territori. Vari gruppi parlano di: «Ascoltare, più che dire; incontrare più che portare»; «Attivare buoni processi, potenziare le buone prassi già in atto, creare nuovi spazi di confronto e di dialogo». • È vivo il desiderio di «Includere persone disabili, immigrati, emarginati» e le loro famiglie. Occorre acquisire la competenza necessaria per aiutare, sostenere, accompagnare e annunciare la speranza di una vita nuova e la dolcezza di un Gesù amico che non abbandona. In ogni contesto ambientale (scuola, lavoro, università, ospedali, carceri, social, media, non luoghi, …) ed esistenziale (disagi psichici, crisi coniugali, problemi educativi, …) in cui si trovano. Confrontarsi con la malattia, il disagio fisico e psichico, la disabilità e la fragilità costringe a fare i conti con la realtà di un’esistenza che non fa sconti a nessuno. Lo stesso dicasi per molte famiglie che vivono varie forme di fragilità nel rapporto tra i coniugi e nel confronto con i figli. Includere è il modo di testimoniare Gesù che si curva sugli ultimi.  • Occorre saper abitare i social, affinché diventino luoghi di reale dialogo e annuncio positivo e formativo, e vanno «valorizzati la stampa e i media di ispirazione cristiana». • L’apertura richiesta dalla Parola porterà a rendere “piazze di incontro” gli Oratori, ma anche a creare nuovi spazi di condivisione e di scambio nel territorio, arricchiti dalle strade del web. Annunciare significa guarire e rinnovarsi • È irrinunciabile l’annuncio gioioso del perdono e della misericordia come cuore pulsante dell’evangelizzazione e di un nuovo umanesimo incentrato sull’alleanza tra l’uomo e il Signore. La Chiesa accompagna, aiuta a comprendere la povertà che consegue al peccato e invita sempre a gioire del perdono che guarisce e far risorgere. • È essenziale il primo annuncio, che va «inteso non solo come momento iniziale del cammino di fede di chi non è cristiano» ma come proposta di fondo che ritorna negli snodi fondamentali dell’esistenza. Così è preziosa l’evangelizzazione per le strade e in casa (pastorale 0-6 anni, cellule di evangelizzazione, gruppi di ascolto della Parola; gruppi di ascolto per giovani….), come altrettanto importante è impegnarsi a rinnovare i percorsi di iniziazione cristiana e di catechesi, oltre il catechismo. • L’ascolto della Parola genera una sana inquietudine e un profondo dinamismo. Questo dinamismo rende costantemente riformulabili le istituzioni, la liturgia e le tradizioni, e provoca una costante riforma dei linguaggi e degli stili di Chiesa. Quali sono gli stili-chiave suggeriti per un annuncio fecondo? «Lo stile del narrare, lo stile della condivisione, lo stile del servizio, lo stile del dialogo, lo stile della gioia, lo stile del dubbio, lo stile della speranza, lo stile del mettersi in gioco, lo stile dell’ascolto, lo stile empatico», come hanno sottolineato molte voci, «a partire dallo stile di Gesù, ricco di tenerezza, non impositivo, capace di accostarsi alle persone e attivare processi».  • Va approfondito il tema degli itinerari formativi, per formare adeguatamente i formatori. Annunciare significa leggere la realtà e la nostra vocazione • Annunciare la Parola ravviva la consapevolezza del Battesimo, che è chiamata alla missione. Molti gruppi sottolineano l’esigenza di “allargare” i protagonisti dell’evangelizzazione; in particolare le famiglie vanno colte sempre più come soggetto di annuncio, capace di esplicitare e curare i passaggi fondamentali nella vita di coppia e di famiglia. Sono importanti i percorsi di sostegno alla genitorialità, dove comunicare sì l’emergenza educativa, ma anche e soprattutto la gioia e la possibilità di educare. • Occorre inoltre un sempre maggiore coinvolgimenti di laici e laiche nelle varie forme di annuncio. Si chiede «maggiore comunione tra sacerdoti e laici», coltivando la fiducia reciproca, senza corporativismi. • In definitiva si tratta di riscoprire appieno la soggettività dell’intera comunità cristiana in ordine all’evangelizzazione. Qui l’importanza di un reale confronto e dialogo tra parrocchie e realtà associative, come pure di uno stile di sinodalità nella Chiesa. • Metodologicamente, per il dopo-convegno, si suggerisce di «lavorare in piccoli gruppi come nel Convegno, per cercare insieme proposte e soluzioni» negli organismi di partecipazione e in altre forme di condivisione e collegialità. 5. Leggerezza e beatitudine E’ stato affermato in più occasioni che le cinque vie sono tra loro distinte, ma non separate né esaustive. Come gli ambiti evidenziati dal Convegno di Verona non esauriscono situazioni e bisogni esistenziali, così l’azione ecclesiale è alquanto ricca, perfino complessa, fatta di tanti elementi come la vita di una persona o di una famiglia. E come capita a una persona o una famiglia, i differenti elementi – se ricomposti in armonia – costituiscono altrettanti punti di forza. In concreto, ci chiediamo se anziché pensare la via dell’annunciare come percorso tendenzialmente autonomo, non occorra immaginarla come arricchita dalle altre. Pensiamo al possibile binomio: annunciare-uscire. Non ha senso parlare di kerygma e non includervi una dinamica missionaria. O al binomio annunciare-abitare, che evoca la quotidianità dell’esistenza. Annunciare-educare nelle nostre comunità dice della dimensione generativa della Chiesa madre. Come afferma un gruppo: «L’annunciare non termina dopo che hai proclamato il Vangelo. Annunciare è anche accompagnare e aiutare a dare frutto». E infine annunciare e trasfigurare, annunciare perché trasfigurati, capaci di consegnare ciò che ci ha stupiti e salvati, di fare memoria di un incontro che ci ha trasformati dal di dentro. Non a caso, come richiamato in un gruppo, al cuore di ogni azione formativa sta il giorno del Signore, la Domenica, «il giorno senza il quale non possiamo vivere». Proprio perché è il Signore il protagonista, proprio perché non ci si può disporre al servizio dell’evangelizzazione se non in quanto chiamati e salvati, possiamo cogliere la verità del mandato missionario. Gesù invita i suoi, dopo la risurrezione, ad essergli testimoni iniziando da Gerusalemme, e poi proseguendo per la Giudea e la Samaria fino ai confini della terra. Prospettiva che deve averli spaventati, essendo ben noti a Gerusalemme come seguaci di un maestro morto sulla croce. Ma Gesù non impone pesi. Afferma che sarà con i suoi fino alla fine dei giorni e che lo Spirito santo li accompagnerà. Egli forse intende dire non: “Dovete essermi testimoni”, bensì: “Potrete essermi testimoni”, “Riuscirete ad annunciare”, “Vivrete l’evangelizzazione” anche a Gerusalemme e fino ai confini della terra. Nella forza dello Spirito santo. Detto altrimenti, il giogo che Gesù ci impone non è pesante ma leggero; tra le virtù di una Chiesa fedele al suo Signore e capace della gioia del Vangelo vi è quella della leggerezza, da associare alla beatitudine di cui ci ha parlato papa Francesco; la leggerezza cristiana, di chi si sente voluto bene dal Padre, salvato da Gesù Cristo, sospinto dallo Spirito Santo. Su ali d’aquila (cf. Sal 96).