Chiesa

LE PAROLE DI PIETRO. «I vescovi: fratelli, amici e padri»

Matteo Liut venerdì 20 settembre 2013
Ai vescovi è affidato un ministero con una grande responsabilità, quella di creare «comunione e unità» nelle comunità, ma anche un servizio i cui capisaldi si riducono a poche e fondamentali regole. A ricordarle ieri è stato papa Francesco, che in Vaticano ha incontrato i vescovi di recente nomina partecipanti al Convegno promosso dalla Congregazione per i vescovi e dalla Congregazione per le Chiese Orientali. Assieme al gruppo c’erano anche il cardinale Marc Ouellet, prefetto del Dicastero per i vescovi, con il segretario della stessa Congregazione, l’arcivescovo Lorenzo Baldisseri, oltre che il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila.«Che cosa significa pascere, avere "abituale e quotidiana cura del gregge" – si è chiesto Bergoglio nel discorso rivolto ai presuli, citando la Lumen Gentium –? Pascere significa: accogliere con magnanimità, camminare con il gregge, rimanere con il gregge – ha risposto –. Accogliere, camminare, rimanere».Per vivere l’accoglienza, ha ricordato il Pontefice ai vescovi, «il vostro cuore sia così grande da saper accogliere tutti. Fin d’ora – ha proseguito – chiedetevi: coloro che busseranno alla porta della mia casa, come la troveranno? Se la troveranno aperta, attraverso la vostra bontà, la vostra disponibilità, sperimenteranno la paternità di Dio e capiranno come la Chiesa sia una buona madre che sempre accoglie e ama».E poi l’atteggiamento fondamentale: quello del camminare «davanti, in mezzo e dietro al gregge». Questo significa «mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi, condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare. Il camminare insieme richiede amore, e il nostro è un servizio di amore», ha sottolineato Francesco. E questo implica l’attenzione a tre esperienze in particolare: l’affetto verso i sacerdoti, la presenza nella diocesi, che si realizza quando un vescovo scende «in mezzo ai fedeli, anche nelle periferie delle diocesi e in tutte quelle "periferie esistenziali" dove c’è sofferenza, solitudine, degrado umano», e infine la cura dello stile di servizio la gregge, che dev’essere «quello dell’umiltà», ma anche «dell’austerità e dell’essenzialità». E poi il monito: «State bene attenti di non cadere nello spirito del carrierismo! È un cancro, quello! Non è solo con la parola – ha ricordato il Papa –, ma anche e soprattutto con la testimonianza concreta di vita che siamo maestri ed educatori del nostro popolo».E infine il terzo atteggiamento fondamentale: «rimanere con il gregge». «Non si può conoscere veramente come pastori il proprio gregge, curarlo con l’insegnamento, l’amministrazione dei Sacramenti e la testimonianza di vita, se non si rimane in diocesi», ha spiegato Bergoglio. L’obbligo di residenza introdotto dal Concilio di Trento, ha notato il Papa, «è attualissimo». Tale obbligo, infatti, «ha una radice teologica – ha spiegato il Pontefice –! Siete sposi della vostra comunità, legati profondamente ad essa». Insomma, ha sintetizzato il Papa ai vescovi, essere buoni pastori significa essere «accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo». E in questo senso anche il saper «ridere di se stessi» per i vescovi è una grazia da chiedere.Congedandosi, Francesco ha rivolto ancora una volta il pensiero alla Siria, ricordando l’urgenza di «chiedere insieme a Dio il dono della pace».