Chiesa

IL GESTO. L'accoglienza agli ultimi nel segno di Francesco

dalla nostra inviata Lucia Capuzzi mercoledì 24 luglio 2013
La spalliera è di legno chiaro, appena levigato, come i braccioli e il resto della struttura. Semplice, modesta, in una parola “francescana”. Non poteva confezionare una sedia più adatta Antônio Aparecido per un Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco e ha messo al centro del pontificato i dimenticati dello sviluppo. Il Pontefice la utilizzerà oggi durante la cerimonia di inaugurazione del Polo di attenzione integrale alla salute mentale (Pai) dell’ospedale São Francisco na Providência de Deus de Tijuca, nel nord di Rio de Janeiro. Un’oasi di pace incastonata tra le favelas di Borel e Formiga. «Non riesco ancora a crederci. Un peccatore come me ha potuto preparare con le sue mani un oggetto per una persona così importante. Niente meno il Santo Padre... È un dono di Dio». Antônio Aparecido è un uomo di fede. «È l’unica cosa che non ho mai perso», afferma. Nemmeno durante quei sette anni divorati dal crack. Quando «ho perduto mia moglie, il lavoro di montatore in un mobilificio, l’affetto degli amici. Solo il Signore mi è rimasto accanto», racconta. È stata proprio quella fiammella di speranza cristiana a spingerlo, sei anni fa, a rivolgersi alla comunità di recupero di Jaci dell’Associazione Lar São Francisco, fondata dal frate Francesco Bellotti, ideatore del Pai. «Adesso ho chiuso con il crack. E ne sono fuori. Nessuno credeva più in me. Nemmeno io. Poi, dopo tre mesi, ho cominciato a lavorare in falegnameria, a parlare con i frati, a sentirmi accolto. La comunità mi ha insegnato a vedere le cose in modo differente. Ora aiuto perfino gli altri dipendenti a lasciare la droga – aggiunge Antônio Aparecido –. E oggi potrò vedere da vicino il Papa. Magari riuscirò anche a parlargli...».L’emozione è palpabile all’ospedale carioca. Alcuni lavoratori sistemano le bandiere bianco gialle intorno al piccolo podio allestito nel cortile, appena dietro il nuovo polo, il Pai, che, non a caso, porterà il nome di papa Francesco. La cerimonia di inaugurazione di questa sera, che si inquadra nel mandato sociale della Giornata mondiale della gioventù (Gmg), sarà semplice: oltre al discorso del Pontefice, ci sarà il saluto dell’arcivescovo di Rio, dom Orani Tempesta, del direttore, frate Francesco Bellotti e del coordinatore del progetto e vicario della pastorale della carità, padre Manoel del Oliveira Manangão. I protagonisti, però, saranno soprattutto loro: gli ex dipendenti che con il loro lavoro hanno realizzato l’ambone e le sedie.Per tutti, medici, funzionari, pazienti è un sogno che si avvera, anche grazie al sostegno della Chiesa italiana: la Cei ha dato un contributo di 1 milione di euro. Il grande sogno di frate Bellotti che, 28 anni fa, decise di creare a Jaci, non lontano da San Paolo, l’Associacão e Fraternidade Lar São Francisco de Assis na Providência de Deus. Con l’obiettivo di assistere e curare la «lebbra del ventunesimo secolo», cioè la tossicodipendenza, soprattutto dal crack. «Vogliamo ripetere il gesto di san Francesco, andando incontro ai nuovi lebbrosi del nostro tempo», spiega il frate. In Brasile, il mix di coca e bicarbonato inonda i sobborghi poveri ma anche i quartieri di classe media. I narcos smerciano qui gli scarti della polvere bianca, poco vendibili al più "esigente" consumatore statunitense o europeo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il 3 per cento della popolazione brasiliana è dipendente da stupefacenti chimici. In particolare crack e il suo ancor più letale derivato, l’oxy: ne abusano oltre due milioni di persone. La metà è concentrata nel Sud del Paese. Nella sola Rio de Janeiro, i giovani sfregiati dal crack sono 6mila. I posti negli ospedali pubblici per assisterli, però, sono a malapena una ventina. «Ora, il Pai offrirà subito 70 nuovi letti nella prima struttura specializzata nella cura delle dipendenze chimiche ma aperta anche ad altre forme di sofferenza mentale», dice con soddisfazione padre Manoel Manangão. «Il trattamento di emergenza durerà fino a un massimo di due mesi, in modo da stabilizzare il malato e consentirgli di poter, poi, decidere se continuare il percorso in una comunità o rientrare in famiglia», aggiunge Gustavo Reis, amministratore del Pai. Non si tratta, dunque, di un ospedale psichiatrico ma di un tassello fondamentale del grande programma di reintegrazione dei giovani dipendenti ideato dall’arcidiocesi carioca. Che riunisce le 22 comunità di recupero cattoliche e il lavoro “in strada” di associazioni e movimenti in un’unica rete, con tanto di base di dati, avviata già da un mese e mezzo. Il proposito - mutuato dal sistema dell’Associacão Lar - è quello di garantire una cura integrale della persona, affinché possa reinserirsi nel tessuto familiare, sociale, economico. «Non forniremo solo assistenza medica. Ma accoglienza, affetto, spiritualità», sottolinea padre Manoel. Il Pai si proporrà, inoltre, come centro di formazione per specialisti nel campo delle dipendenze chimiche. Professionisti da inviare nelle altre cliniche, «per ripetere ovunque il gesto di San Francesco – conclude Bellotti –: quello di andare incontro agli ultimi, in spirito di fraternità».