Attualità

IL GIORNO DELLA DECADENZA. Berlusconi: «Non finisce qui Tornerò a Palazzo Chigi»

Arturo Celletti mercoledì 27 novembre 2013

«Craxi era solo, stanco, piegato. Io sono forte, io non mollo: ho un popolo con me, ho un Paese che ha fame di democrazia e che guarda preoccupato l’epilogo di una storia». Una pausa leggera. Una smorfia amara. Poi Silvio Berlusconi riprende a ragionare sottovoce, come se con le parole cercasse di scacciare il fantasma della decadenza. «Si accorgeranno della mia forza, della mia capacità di reagire, di difendermi, di ribellarmi a questo sfregio. Vogliono spazzarmi via dalla scena politica, vogliono chiudermi in una cella, ma io ho deciso di lottare. E la manifestazione di domani (oggi, ndr) sarà solo l’inizio». È la notte che precede il giorno della verità. Una notte "segnata" da pensieri bui che puntualmente si scontrano con la determinazione a resistere. Berlusconi riannoda vent’anni di vita politica. Mette in fila amarezze e successi. Poi guarda ancora più indietro e si ferma a una data: 30 aprile 1993. Pensa a Craxi, alla sua uscita di scena, alle grida della folla davanti all’hotel Raphael, alle monetine. Da quelle immagini prende forma un piano di battaglia. «Io sono forte, non scappo, non indietreggio. Io oggi rubo la scena ai miei carnefici. E tutti i miei figli saranno al mio fianco. Loro sono con me, credono in me...». All’improvviso la voglia di regolare i conti con il nemico spazza via la tentazione di rinviare, di prendere tempo. Berlusconi detta ai suoi la nuova linea: «Voglio chiudere in fretta, voglio un voto del Senato già nel pomeriggio. Poi sarò io il protagonista. Tra la mia gente, tra chi da vent’anni mi vuole bene». Tutto sembra deciso. Berlusconi oggi non sarà in Senato. Non guarderà Palazzo Madama votare la sua espulsione. Sarà a Palazzo Grazioli con i suoi pensieri, con le sue paure e con la sua voglia di reagire. Poi scenderà in piazza e si unirà ai manifestanti. Dopo ripartirà per Milano. Rinunciando all’idea di un nuovo affondo dal salotto televisivo di Porta a porta.

Montecitorio, sala della Regina, ora di pranzo. Deputati e senatori di Forza Italia applaudono il Cavaliere. Berlusconi scandisce messaggi chiari. «Siamo all’opposizione». «Letta ha fallito». «Questa è la legge di Stabilità delle poltrone». Lo chiama Barroso, il presidente della commissione europea. È la voce dell’Europa preoccupata per le fibrillazioni italiane. Tra i due c’è cordialità, ma nulla di più. Quel pressing discreto targato Ue a far prevalere la responsabilità e a non mettere a rischio la tenuta del governo Letta sembra quasi infastidire Berlusconi che ha la testa altrove. Preferisce reimmergersi nella grande questione decadenza. Ascoltare i suoi. Delineare strategie. Nella testa del Cavaliere non c’è la crisi di governo (anche se il fastidio verso Napolitano c’è). Berlusconi, al di là delle parole, sa che un voto a primavera metterebbe Renzi nella condizione di vincere. Il suo piano (almeno per ora) è un altro: è la sfida ad Alfano e al nuovo centrodestra già a partire dalle prossime elezioni europee. «Non supereranno la soglia del 4 per cento. Saranno fuori», profetizza il Cavaliere che chiosa: «Resteranno tre partiti. Grillo, il Pd e Forza Italia che volerà con la scritta Berlusconi nel simbolo».È una giornata infinita dove il copione ricalca quello di tante giornate passate. C’è il solito atto d’accusa contro Magistratura democratica, la nuova denuncia per vent’anni di persecuzione. «Non siamo una vera democrazia, siamo una democrazia dimezzata. Pensate cosa hanno fatto a me...». Berlusconi sospira e punta il dito accusatore contro due procure. «Napoli e Milano stanno facendo a gara a chi mi agguanta prima... Ma io non mi fermo, la manifestazione è solo l’inizio». Il Pd non ci sta. Lo sdegno di Danilo Leva, il responsabile giustizia dei Democratici, rimbalza sulle agenzie di stampa: «Stiamo assistendo a un’escalation con toni sempre più violenti da parte di Berlusconi. È una strategia che mira a produrre tensione logorando il Paese e che rende Berlusconi sempre più anti-Stato».L’ex premier si muove come un attore consumato: una smorfia, un sorriso, un’immagine, una previsione. Deputati e senatori gli sono addosso. Lo cercano con le mani, lo chiamano. Lui prende tempo poi "regala" un’immagine amara: «Ora sono qui tra voi, domani i commessi non mi faranno nemmeno più entrare». Anche questa è strategia. Berlusconi giocherà a fare la vittima. Andrà in tv per raccontare la «persecuzione infinita». Parole nette. Forti. E un copione già ascoltato. «Sono stato quattro volte presidente del Consiglio, ho rappresentato per dieci anni l’Italia all’estero e da venti sto subendo una persecuzione giudiziaria che nessun cittadino in una democrazia occidentale ha mai conosciuto». Ma il piano va ben oltre la denuncia. Berlusconi aspetta l’ennesima notte insonne e sogna l’ultimo ritorno sulla scena. «Se Renzi non sgambetta Letta e si vota nel 2015 sarà tutta un’altra storia. E io ho ancora voglia di dire la mia. Magari provando a tornare a Palazzo Chigi per la quinta volta».