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Malattie rare. Vivere senza diagnosi. «Noi la troviamo. In 1 caso su 2»

Viviana Daloiso domenica 18 febbraio 2018

Il reparto di malattie cardiache rare all'ospedale Sacco di Milano (Fotogramma)

Orfani di diagnosi. La medicina li chiama così, i pazienti come Beatrice, uccisa a 8 anni da una malattia rarissima. Quest’anno sono stati oltre 500 quelli che sono arrivati, con le loro famiglie, all’ambulatorio che l’ospedale Bambino Gesù di Roma ha loro dedicato. È il luogo della speranza più crudele: quella di trovare un nome a un male quasi certamente incurabile. Ma che almeno abbia un nome. «Eppure capiamo che per queste famiglie la diagnosi è tutto», spiega il genetista e direttore scientifico della struttura, Bruno Dallapiccola, coordinatore italiano di Orphanet (il portale internazionale che raccoglie e mette in rete tra gli specialisti tutte le informazioni che riguardano queste malattie) e rappresentante per il ministero della Salute nel Comitato di esperti di malattie rare dell’Unione Europea (Eucerd).

I numeri danno i brividi, d’altronde: un malato raro su tre in Italia è in età pediatrica (oltre 300mila pazienti) e tra questi piccoli il 6% è affetto da una malattia che non solo non è ancora curabile, ma addirittura non ha nemmeno un nome. Proprio come quella di Beatrice, che è stata studiata anche al Bambino Gesù e che «abbiamo ricostruito – conferma Dallapiccola – essere praticamente unica al mondo, a quell’età e in quella forma così aggressiva».

È a questi bimbi, e ai loro genitori, che l’ambulatorio del Bambino Gesù cerca di dare risposte. «Ci riusciamo nella metà dei casi circa» continua Dallapiccola. Il segreto del piccolo successo è l’analisi del genoma, un esame che oggi grazie ai passi da gigante computi dalla scienza e dalle tecnologie costa appena un migliaio di euro «e che fino al 2000 arrivava a cento volte tanto». Si cerca dunque nei geni, la causa di queste malattie, e in un paziente su due si riesce a individuarla. «Non la cura, attenzione», aggiunge Dallapiccola, ammettendo la frustrazione dei medici davanti ai malati rari. Che nel 95% dei casi non hanno ancora una cura specifica per la loro malattia: «Vengono curati, cioè, ma ancora serve individuare quello che in modo preciso e puntuale può incidere sulla patologia di cui soffrono».

La diagnosi è già tantissimo: oltre che dal punto di vista psicologico «possiamo capire da dove deriva una malattia, con quali meccanismi e in che tempi si sviluppa, come e dove possiamo prendere in carico i pazienti». L’ambulatorio del Bambino Gesù va oltre: da due anni a questa parte, due volte al mese, mette in collegamento i maggiori esperti di malattie rare di tutto il Paese. «Discutiamo dei casi: presentiamo quelli dei pazienti più particolari o problematici, ovviamente con il consenso delle famiglie, ci confrontiamo sulle diagnosi e sui possibili trattamenti a cui sottoporli, analizziamo i successi e i passi avanti compiuti».

Si fa rete, contro il male sconosciuto, lavorando perché casi come quello di Beatrice non si ripetano: «Ma questo è quello che può fare la scienza. Poi per queste famiglie – continua Dallapiccola – serve investire anche a livello sociale, per alleggerire i carichi che gestire queste patologie comporta». Perché la malattia rara cambia le prospettive di vita e i programmi delle famiglie nel 50% dei casi: povertà, disoccupazione, depressione. La diagnosi è solo l’inizio.