Attualità

L'analisi. Vaccini, invertire la marcia

Vittorio A. Sironi lunedì 19 ottobre 2015
Un allarme giustificato. Una presa di posizione tardiva. Una serie di provvedimenti che potrebbero andare nella giusta direzione. Attorno a questi temi si è aperto il dibattito dopo la "grana" sulle vaccinazioni esplosa in questi giorni. Alla vigilia della presentazione del Piano Vaccinale 2016-2020 alla conferenza Stato-Regioni si è preso finalmente coscienza di quanto gli epidemiologi denunciavano da tempo e di ciò che gli igienisti hanno sottolineato con forza in questi giorni: le vaccinazioni in età pediatrica sono da tempo in costante discesa e alcune sono ormai già al di sotto del livello-soglia. Per la prima volta in Italia gli obiettivi di copertura vaccinale per poliomielite, tetano, morbillo, rosolia, parotite, difterite ed epatite B sono stati raggiunti solo in un terzo delle regioni (Lazio, Piemonte, Liguria, Calabria, Abruzzo e Molise), che hanno vaccinato il 95% della popolazione infantile. Vi è dunque un alto rischio di contrarre queste malattie (a torto ritenute banali, sovente invece letali) da parte dell’individuo non vaccinato. Le ragioni per cui si è giunti a questa situazione – che ha provocato un legittimo allarme sanitario e sociale – sono due. Da un lato il canale di controllo sul rispetto del calendario di profilassi vaccinale (obbligatorio per legge in Italia, tranne che in Veneto dove nel 2008, per un malinteso "diritto alla libertà sanitaria", è stata introdotta la libera scelta di adesione alle vaccinazioni), rappresentato dall’obbligo di avere il certificato di vaccinazione nell’atto di iscrizione del bambino a scuola, è stato abolito nel 1999. Dall’altro, l’atteggiamento di molti genitori – purtroppo talvolta incoraggiati anche da medici incoscienti e, bisogna dirlo, non all’altezza scientifica della loro professione – che rifiutano di far vaccinare i figli per errati pregiudizi, come la convinzione che i vaccini possano provocare autismo o epilessia (assolutamente falso sul piano sanitario) o che non comprendono l’utilità di una pratica medica (la vaccinazione) su un bambino "sano" per evitare che si ammali in futuro, preferendo la logica della terapia a quella della prevenzione.Un atteggiamento contraddittorio, perché l’obiettivo che tutti oggi si propongono è quello di prevenire il male piuttosto che curarlo dopo che si è manifestato. La vaccinazione è l’unica modalità sanitaria di cui conosciamo con certezza la capacità di prevenire – cioè appunto di evitare – le malattie contro le quali ci si vaccina. È una grande vittoria della medicina che ha modificato la storia del genere umano, portando alla scomparsa di malattie infettive altamente mortali, come il vaiolo, e a un passo dalla completa eradicazione di altre gravi patologie, come la poliomielite e la difterite, già ora totalmente assenti nel mondo occidentale. Morbillo, parotite, rosolia e pertosse, malattie ora a limitata diffusione epidemica nel nostro Paese, potrebbero invece ritornare con facilità colpendo gran parte della popolazione infantile se continuerà questa malsana abitudine di non vaccinare i propri bambini. Siamo anche in un periodo particolare dell’anno, quello in cui s’inizia la campagna antinfluenzale. Un monito è doveroso: nella scorsa stagione, dopo il caso delle presunte morti legate al vaccino, si è assistito a un crollo del 25% delle vaccinazioni, tradottosi in 6 milioni di ricoveri ospedalieri e in molte centinaia di morti in più rispetto alla media degli anni precedenti.Per superare questa condizione di "disagio sanitario" il ministero della Salute sta pensando di attuare alcuni provvedimenti per ricompattare l’impegno in favore della vaccinazioni da parte di istituzioni e operatori sanitari. Il primo sarebbe quello di reintrodurre l’obbligo del certificato di vaccinazione per poter iscrivere un bambino a scuola. È un atto legittimo sul piano giuridico – non lede la libertà individuale, ma garantisce la tutela della salute pubblica – e certamente efficace dal punto di vista sanitario. Il quadro normativo di riferimento esiste già. Non serve una legge, è sufficiente una circolare congiunta dei ministeri interessati. Certo bisognerà anche armonizzare e rendere omogenei i programmi vaccinali delle regioni. L’altro è quello, di cui si discute in questi giorni, di "obbligare" ogni sanitario a promuovere la cultura delle vaccinazioni e "allontanare" dal Servizio Sanitario Nazionale chi ne scoraggia la pratica. Un provvedimento ancora non definito, ma che rischia di suscitare reazioni contrastanti e controproducenti. In ogni caso, la cultura del vaccino va difesa e promossa.