Attualità

REPORTAGE. In centro a Milano sulla vettura elettrica, alla ricerca della colonnina... inutilizzabile

Alberto Caprotti martedì 17 gennaio 2012
Quattro ruote con una batteria sotto, sette ore alla ricerca della colonnina infame, scivolando senza pagare nel primo giorno di Area C. Sembra facile diventare verde, in una Milano lucidata dal freddo e dalla rabbia di chi non si rassegna al balzello. Invece è un’impresa. Più martellante del telefono cronicamente occupato. Zerodue-zero-due-zero-due il numero dell’illusione: non risponde nessuno all’info-line del Comune. Bilancio finale: poco traffico, 29 telefonate a vuoto, due ore su Internet, 38 chilometri percorsi senza carburante. E 39 euro di multa per aver fatto una domanda. Area C, un mistero caotico.Eppure la buona volontà c’era. Guai a chi inquina e se il sindaco Pisapia inaugura il centro città a pagamento, proviamo ad adeguarci. O a difenderci. Basta smog e polveri sottili. Peugeot Italia ci viene in soccorso: ecco una fiammante I-On in prova, totalmente elettrica. Un gioiellino piovuto dal futuro. Quattro porte, sei ore per ricaricarla, 80 km circa di autonomia, emissioni zero, benzina zero, rumore zero. Una favola... Sali, giri la chiave, parti. E ti senti migliore. Moderno, pulito, corretto. Via verso il centro, per vedere l’effetto che fa. Non senza aver prima chiamato l’ufficio informazioni dell’Area C per risolvere qualche dubbio. Serve registrare la targa di un’auto elettrica per essere esentati dal pagamento? Si possono percorrere le corsie preferenziali come logica suggerirebbe? Risposte vietate. Il sito internet del Comune replica (positivamente) solo al primo quesito. Fidarsi? Mah... Occupato fisso. Stop.Varco di Corso Magenta, ore 8. Al semaforo tre pensionati discutono. Vanno a piedi, loro. Il fiato si gela. Ma discutono. Vedono la nostra auto elettrica: scusi, come va? Bene, grazie. E non paga vero? No, certo, credo. Beato. Una signora ecologica con parrucca di pelo finto dice che è inutile lamentarsi: «Sono stati i milanesi a volerla l’Area C col referendum di giugno». E adesso pedalate, in tutti i sensi. Vorremmo correggerla, ricordarle che a votare la Congestion Charge sono stati meno della metà degli aventi diritto (49,05%): di questi il 20,88% ha detto no all’estensione dell’Ecopass. E che alla fine, il provvedimento è passato solo grazie ad una minoranza che ha vinto senza sapere probabilmente cosa stava votando. Ma non c’è tempo. La batteria della nostra I-On caricata nel box di casa, attaccandosi ad una normalissima presa di corrente, si scarica abbastanza presto: una tacca in meno sull’indicatore. Adesso però il Comune finalmente risponde: «020202, benvenuto, la vostra attesa per una risposta è di 16 minuti. Nel frattempo la informiamo che chi occupa locali sul terreno del Comune è obbligato a presentare denuncia di nuova occupazione di suolo entro...». C’entra nulla, ma è tutto molto surreale. Appendiamo e usciamo dal centro a caccia di colonnine di ricarica pubbliche. Milano ne ha 200, annunciano Comune e A2A. Bene, un bel pieno di corrente: vediamo. Scarichiamo la mappa dei punti di ricarica. Via Melchiorre Gioia: colonnina con auto parcheggiata davanti, inavvicinabile e prese blindate. Piazza Leonardo da Vinci: la colonnina c’è, lo spazio pure ma la ricarica non si può fare. Nemmeno pagando. Nessuna indicazione, nessun numero da consultare. Serve andare in rete per scoprire che sul sito dell’installatore si possono compilare i moduli per richiedere la carta per la ricarica. Tutto molto burocratico. E la nostra Peugeot del futuro piange vedendo che intorno a lei tutto è antico. Corso Plebisciti, ore 9.15: due colonnine gialle all’angolo con piazzale Dateo. I posti riservati alle auto elettriche sono occupati da due furgoni in sosta vietata, ma per fortuna sono nei pressi due vigili urbani. Che passano oltre senza colpo ferire, puntando invece verso alcune auto innocuamente parcheggiate con una ruota che tocca la santa linea bianca che delimita la corsia (deserta ovviamente) riservata alle biciclette. Reato mortale: e infatti i due inflessibili tutori dell’ordine sfoderano penne e verbali e iniziano la raffica di esecuzioni. Stupidamente osiamo sfiorare il clacson per attirare la loro attenzione: un buffetto sottile, quasi discreto come può essere la trombetta elettrica di un’auto a batteria. «Scusi agente, sarebbe tanto cortese da dirmi se le vetture elettriche possono usare le corsie preferenziali?». La risposta è gelida: «Patente e libretto: lei è in contravvenzione per aver suonato il clacson...». Non è uno scherzo. Trentanove euro per aver fatto una domanda. Un record storico, con cui l’eroico vigile urbano matricola 3043 potrà vantarsi con i nipotini. Inflessibile e poco educato: biascica qualcosa sulle corsie preferenziali, e se ne va. Naturalmente senza multare i furgoni in divieto sullo spazio dedicato alle auto elettriche. Siamo indietro, molto. Inquinati sono i cervelli, prima ancora dell’aria. E il futuro elettrico, purtroppo, è ancora lontano.<+copyright>