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IL CASO. Verona, gli ex allievi del «Provolo»: pedofilia? Mai visto nulla

Dal nostro inviato a Verona Lucia Bellaspiga sabato 24 gennaio 2009
Il più giovane ha 25 anni, il più anziano quasi 80. Sono decine e tutti molto arrabbiati: sono gli ex allievi dell’Istituto per sordi Pro­volo, messi insieme coprono tutto l’arco dei decenni in cui si sarebbe­ro svolte le presunte violenze ai lo­ro danni. Dal 1950 al 1984, oltre 30 anni, «ma guarda caso nessuno di noi ha mai sentito nulla». Sui gior­nali locali del mattino hanno letto cose che definiscono « dell’altro mondo», «follie», «menzogne intol­lerabili » e tutti sono d’accordo su un punto: «Speriamo che non si la­sci correre, che si arrivi a un pro­cesso, perché chi ha messo in giro calunnie tanto gravi deve pagare». Le calunnie cui si riferiscono sono quelle diffuse, con un servizio sull’Espresso, da Giorgio Dalla Ber­nardina, veronese, in un lontano passato per poco tempo alunno dell’Istituto (dopo poco era stato e­spulso per i suoi comportamenti), e oggi presidente della Associazione Sordi Antonio Pro­volo, che riunisce u­na sessantina di so­ci, gli stessi che han­no sottoscritto la te­stimonianza conse­gnata al settimana­le. Per una strana combinazione, in­fatti, tutti quelli che secondo l’accusa a­vrebbero subìto violenza sarebbe­ro in seguito confluiti nella stessa associazione, che fino ad oggi, pe­raltro, ha mantenuto ottimi rap­porti con l’istituto tanto da riunirsi due volte la settimana in quella se­de. «Eravamo numerosissimi, pos­sibile che quei sessanta hanno visto e subìto sevizie e violenze inaudite e noi non ci siamo mai accorti di nulla? – osserva Adriano S., classe 1940, per 8 anni cresciuto nell’Isti­tuto veronese – Essendo sordi, vi­vevamo giorno e notte insieme, dormivamo, facevamo vita comu­ne, se fosse vero ciò che scrive l’Espresso lo avremmo saputo tutti. Io poi sono uscito dal collegio che avevo 15 anni, a quell’età le cose si capiscono». Tanto più che i sordi vi­vono un’unione tutta particolare: inseriti in un collegio fin dalla pri­ma età per imparare a emettere suoni che non sentono, a pronun­ciare parole a loro sconosciute, mai sentite dalle labbra della mamma, crescono lontani dai genitori, isolati da un mondo che parla e gli è e­straneo, e così creano tra loro un cameratismo indissolubile: «La mattina si andava a lezione – spie­ga Nicola – ma la nostra vera vita e­ra tutto ciò che si svolgeva poi fuo­ri dalla classe, pomeriggio e sera, quando tra noi ci si raccontava tut­to, si condivideva anche il pensiero più intimo, si creava un legame da fratelli veri. Noi comunità sorda ci scambiamo ogni confidenza, e mai un abuso a uno di noi sarebbe pas­sato inosservato, figuriamoci a dan­no di cento bambini, da parte di 25 religiosi, per 30 anni...». Suona tutto ancora più inverosimi­le, quando ascolti chi in quell’Isti­tuto ha studiato, è diventato adul­to. «I genitori venivano a trovarci la domenica, se abitavano vicino, al­trimenti una volta al mese – conti­nua Adriano S. – ma quei religiosi ci facevano da padre e da madre. Ri­cordo la sera quando uno per uno ci davano una carezza sulla testa, proprio come avrebbe fatto un pa­dre ». Mario E. è rimasto in Istituto dal 1954 al 1971, la bellezza di 17 anni, e, come tutti, conosce da decenni Dalla Bernardina, «molto noto a Ve­rona per il numero di cause che in­tenta a gente varia. Anche l’Ens, l’ente nazionale sordi, tempo fa gli ha presentato un provvedimento di espulsione perché non si atteneva ai comportamenti dettati dallo sta­tuto. Ora è un uomo che, per risen­timenti dovuti a uno sfratto subito dalla sua Associazione finora ospi­tata gratis nei locali dell’Istituto, ha pensato di vendicarsi così, ma in questo modo sputa nel piatto in cui ha mangiato e getta fango su una delle i­stituzioni più sante della città. Sono ri­masto allibito a leg­gere di ' bambini sodomizzati per an­ni e a gruppi sotto l’altare' o nei con­fessionali e altre co­se assolutamente impossibili. Conosco benissimo quelli che ha plagiato per farli fir­mare, sono i più deboli tra noi, po­veretti, persone con forti proble­matiche, impaurite dal suo tempe­ramento». Ugo S. ha 71 anni, per 8 ha fre­quentato l’Istituto e ricorda bene quei sacerdoti, «severi, se devo pro­prio muovere una critica, che ci fa­cevano pregare ogni mattina e stu­diare molto, ma oggi, che grazie a loro io so parlare, li ringrazio anche di questo». Come Giovanni M., o­spite tra il 1950 e il ’59, «spesso ma-­lato, ma la notte se stavo male c’e­ra sempre un prete che si svegliava per l’assistenza. Stanotte, dopo quello che avevo visto sul sito dell’Espresso, non ho chiuso occhio: troppo arrabbiato, perché accuse tanto fantastiche mi hanno scon­volto, solo una mente diabolica può inventare cose simili. Se dovessi de­scrivere cos’è stato l’Istituto per me direi una sola parola: oro». Vittorio è vissuto 18 anni al Provo­lo, a partire dai «10 di scuola ele­mentare anziché 5, perché ogni an­no lo si ripeteva due volte per im­parare a parlare, poi ho frequenta­to le medie e la scuola professiona­le interna. Nei preti ho trovato do­centi di alto valore morale. Se oggi sono bilingue, e oltre alla lingua dei segni so anche parlare con la voce, lo devo ai miei buoni maestri che hanno tanto insistito. Erano gli anni ’50, in tutte le scuo­le allora si usava la bacchetta o scap­pava qualche scapellotto, questo sì, ma tutto rientrava in un legame af- fettivo sincero: loro ci hanno dato gli strumenti per affrontare una vi­ta per noi molto difficile». Ha pian­to di vero dolore Paolo, 25 anni, troppo giovane per testimoniare, ma anche lui conosce bene alcuni dei preti accusati: «Una vigliaccata – dice – perché ormai non possono difendersi, non solo in quanto an­ziani, ma perché i presunti fatti so­no caduti in prescrizione, gli si ne­ga così la possibilità di lottare per il proprio onore. Perché chi li accusa ha parlato solo una volta scaduti i termini per un processo?». La Compagnia di Maria per l’Edu­cazione dei Sordomuti è la più pic­cola congregazione di Verona, solo 26 allora (21 oggi), dei quali 25 a­vrebbero violentato sistematica­mente cento bambini, e dieci di lo­ro sarebbero ancora vivi. Era mat­tina ieri, quando uno dei più giova­ni con tatto ha chiesto all’anziano confratello se avesse saputo cosa sta succedendo in questi giorni. Il vecchio sacerdote era pensoso: lo aveva saputo. Poi sempre con tatto gli ha detto che su Internet erano anche circolati i nomi degli accu­sati ancora in vita. Con ansia il reli­gioso ha chiesto se tra quelli figu­rasse anche lui. Saputo che era co­sì si è illuminato: «Allora sono feli­ce, adesso so che non c’è niente di vero».