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BUFERA IN VENETO. Verona, accusa choc: «30 anni di abusi» Il vescovo Zenti: «Teorema inconsistente»

Lucia Bellaspiga venerdì 23 gennaio 2009
Oltre «trent’anni di abusi» e sevizie di ogni genere, che dagli anni ’50 fino al 1984 si sa­rebbero protratti da parte di «venticinque religiosi» all’interno dell’Istituto «Antonio Provo­lo » di Verona, una delle istituzioni più benemeri­te della città, ai danni di «almeno un centinaio di bambini», per di più sordomuti e poveri, figli di un Nord-Est all’epoca contadino e indigente. Questa la scioccante e abnorme denuncia che oggi L’E­spresso propone sulle sue pagine e ieri già DA CHIARIRE URGENTEMENTECinque punti oscuriUna vicenda assolutamente tutta da chiarire quella che sarebbe capitata all’Istituto Provolo di Verona, con molti punti oscuri e tanti interrogativi. Trascuriamo le non poche e non irrilevanti 'imprecisioni' circa le verifiche compiute in loco dall’Espresso, e concentriamoci per un istante su questa storiaccia che ha - letteralmente ­dell’incredibile. Senza pretendere di anticipare né assoluzioni né verdetti di colpevolezza, sorge infatti una serie di dubbi che proviamo a sintetizzare in cinque domande. 1 - La buona fama dell’istituto, attivo a Verona da oltre un secolo, è fuori di dubbio. Come è possibile che questa vicenda, che secondo le accuse sarebbe cominciata oltre 50 anni fa, sia rimasta nascosta a tutti per tanto tempo? 2 - Le violenze si sarebbero protratte fino al 1984 - per cessare all’improvviso, non s’è capito come - avendo coinvolto decine e decine di vittime. Nessuno che abbia mai sentito il bisogno di denunciare la cosa in maniera minimamente circostanziata, quando ricostruire i fatti sarebbe stato ancora possibile e i reati non erano caduti in prescrizione? E nessuno, se davvero nella vicenda ci sono così tante anime nere, che abbia mai sentito agitare il cuore dal pentimento? 3 - La denuncia nasce davvero e soltanto da una volontà 'positiva' di puntare finalmente il dito contro il male o ci sono altre ragioni meno nobili? E perché nel momento in cui si è preso ultimamente contatto con la Curia, non si è voluto seguire l’iter per un percorso efficace e sollecito della denuncia, rivolgendosi piuttosto ai media? 4 - Si parla di sessanta vittime, che sarebbero tutte singolarmente provenienti da uno solo dei diversi sodalizi di ex allievi, e delle quali per ora nessun nome è riconoscibile, se si esclude il denunciante odierno. Si tratta di persone concrete o no? 5 - Secondo le accuse, gli attori delle violenze sarebbero ben 25. Un numero elevatissimo, quasi incredibile, considerando che l’istituto è arrivato a contare al massimo 26 religiosi lì residenti. Possibile che in uno stesso ambiente religioso fosse concentrata una così larga quota di perversione? Ovvio, dicevamo, che non si cerchino facili assoluzioni. E tuttavia il delitto che si prefigurerebbe su bambini già provati dalla vita, appare così doppiamente obbrobrioso che non si può non chiedere una solerte, adeguata precisione. Esattamente per amore della verità.antici­pava nell’edizione on-line. «Per oltre un secolo è stato un simbolo della carità della Chiesa: una scuola specializzata per garantire un futuro mi­gliore ai bambini sordi e muti», esordisce L’Espres­so ammettendo subito l’alta fama che caratteriz­za da sempre l’Istituto Provolo di Verona, ma poi cita quindici ex allievi, non meglio identificabili, che oggi hanno scelto il settimanale del gruppo di Repubblica per far emergere le presunte atrocità avvenute addirittura tra i trenta e i sessanta anni or sono: «Tutti i reati sono ormai prescritti», am­mettono gli accusatori, ma «una decina dei religiosi accusati sono anziani e restano an­cora in servizio nell’Istituto». A denunciare il fatto è l’Associazione Sordi Antonio Provolo (una delle tan­te che riuniscono gli ex alunni dell’I­stituto), nella persona del loro presi­dente, Giorgio Dalla Bernardina, il quale all’Espresso parla di ripetuti e i­nutili appelli al vescovo, di lettere ri­volte invano alla Curia, di incontri re­centi tra decine di presunte vittime e don Danilo Corradi, superiore generale dell’Istitu­to Provolo, il quale avrebbe non solo ammesso le colpe ma avrebbe «sudato, chiesto perdono» e si sa­rebbe inginocchiato davanti a loro. E c’era proprio don Danilo Corradi, ieri, davanti al vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, a leggere la cro­naca e a non raccapezzarsi: «Mai stato a quell’in­contro ». Accanto a lui altri confratelli della stessa congregazione tirata in causa, quella della «Com­pagnia di Maria per l’educazione dei sordomuti», la più piccola di Verona, a tutt’oggi impegnata nel­l’aiuto ai sordi e specializzata nella formazione pro­fessionale: solo 21 religiosi in tutto, dei quali – se­condo le accuse – la metà sarebbero i sopravvissu­ti tra i pericolosi aguzzini. «Se i fatti risultassero fon­dati – premette subito il vescovo Zenti – segnereb­bero la comunità cristiana con una ferita laceran­te, a partire da quella delle persone abusate, alle quali andrebbe il senso della più vera vicinanza e solidarietà cristiana, e in questo senso saranno i­struite tutte le pratiche necessarie per dare traspa­renza alla Chiesa ed evitare zone d’ombra o sospetti. Se la giustizia dei tribunali conosce i tempi della prescrizione, quella della coscienza non prevede scadenze». Netta dunque la volontà di fare al più presto chiarezza, perché «della verità la Chiesa non ha paura», ma proprio la gravità della accuse ren­de necessaria una trasparenza da parte dei denun­cianti che oggi manca del tutto: «Rammarica pe­raltro che un numero così consistente di persone intervenga solo a distanza di così tanto tempo, im­pedendo di fatto alla giustizia penale e a quella ec­clesiastica di intervenire sanzionando eventuali col­pevoli ». Perché infatti decenni di silenzio, tra l’altro considerato il fatto che la stessa Associazione, e quindi gli stessi presunti abusati, hanno sede pro­prio nell’Istituto in cui avrebbero subito gli orrori e, ospitati a titolo gratuito, in quegli stessi locali si ritrovano due sere a settimana per riunioni e in­trattenimenti? Non solo: «Stupisce – prosegue il ve­scovo – che tutti i denuncianti appartengano al­l’Associazione Sordi Antonio Provolo, senza che si abbiano riscontri analoghi di altri sordomuti ap­partenenti alle altre Associazioni che hanno fre­quentato l’Istituto negli stessi anni...». Annotazioni che non possono non far riflettere. Co­sì come la totale mancanza di nomi, luoghi, date: L’E­spresso parla di testimoni che conoscerebbero no­mi e cognomi sia delle presunte vittime che dei pre­sunti abusanti, ma a tutt’oggi il vescovo di Verona e i vertici dell’Istituto Provolo non hanno ottenuto di conoscerli, il che oltre a vanificare qualsiasi denun­cia, ha reso impossibile avviare una indagine inter­na alla Chiesa: «Ci vogliono dire i nomi di questi re­ligiosi accusati? Ci fanno conoscere i quindici ex al­lievi che decenni fa sarebbero stati a­busati? Ad oggi forse l’unico che co­nosce i nomi è il giornalista dell’Espresso, sempre che a lui li ab­biano detti», chiede il vescovo. Per ora l’unica cosa tangibile sono le 4 missive intercorse tra l’Associazio­ne Sordi e la Curia. La prima, datata 8 settembre 2008 e indirizzata a mon­signor Zenti: vi si parla del fatto in quattro parole totali, «pedofilia e a­busi sessuali», all’interno di una breve lettera volta in massima parte a ottenere la revoca dello sfratto ricevuto mesi fa dall’associazione dai locali dell’I­stituto. La seconda, del 5 ottobre, è un biglietto scrit­to a mano per chiedere «a quale istituzione possia­mo rivolgerci per il problema della pedofilia», se­guono «cordiali saluti» e 83 firme spesso non leggi­bili, che non si specifica se siano di presunte vitti­me o di chi. A quel punto il vescovo affida le perso­ne a monsignor Giampietro Mazzoni, vicario giu­diziale, il quale spiega loro nei dettagli come proce­dere per produrre una efficace denuncia. Come ri­sposta gli arriva la terza missiva, datata 20 novem­bre, di nuovo generica. Il vicario giudiziale, il 2 gennaio 2009, spiega anco­ra una volta con una lettera di istruzioni come de­vono procedere, ma, anziché avanzare la denuncia, a questo punto preferiscono un servizio sull’Espresso. «Nell’unico incontro avuto con Gior­gio Dalla Bernardina – ricorda il vescovo – alla pre­senza di testimoni, mi ha detto che se l’Istituto non avesse revocato lo sfratto, loro avrebbero reso pub­blici episodi di pedofilia...». È l’ora della verità, conclude Zenti, in tutti i sensi: «Saremmo del tutto solidali con le eventuali vittime se i fatti risultassero veri, ma ci riserviamo ogni a­zione altrettanto rigorosa nelle sedi opportune a tu­tela della Chiesa qualora dovesse emergere l’infon­datezza dei fatti». Intanto lo sfratto, da qualche an­no oggetto di un contenzioso davanti al Tribunale di Verona, resta esecutivo. Nonostante le minacce. Uno scorcio di Verona