Attualità

Reportage. Veneto, un disastro «nascosto»

Francesco Dal Mas giovedì 16 luglio 2015
L’albergo ristorante di Villa Fini Piva a Dolo era operativo da solo 6 mesi. Adesso è un cumulo di macerie. Ma Silvano, il gestore, dà appuntamento alla già affezionata clientela fra 6 mesi. È la forza di reazione del popolo della Riviera del Brenta, colpito dal tornado una settimana fa. Popolo che l’altro ieri ha dato l’addio a Claudio Favaretto, 63enne morto sotto la furia del tornado. È l’unica vittima di questa sciagura, l’ennesima – naturale – che subisce il Veneto in 5 anni. I 93 feriti, a una settimana da quel tragico quarto d’ora dell’8 luglio, hanno già lasciato alle spalle il dolore, ma non la paura. La paura sarà difficile da cancellare. «Abbiamo la memoria di un vento improvviso, fortissimo, che soffiava, come sarà poi accertato, a 320 km l’ora, stranamente bianco» racconta Katia Masato, titolare di una grande fioreria. «Ci siamo rinchiusi all’interno, ma il vento ha cominciato a sparare i coppi del tetto, fino a infrangere porte e finestre, e a risucchiare tutto ciò che si trovava lì dentro. Prese di mira da questi coppi, io e mia sorella ci siamo rifugiate nei bagni, trattenendo a forza la porta. Quando abbiamo provato a uscire, abbiamo faticato a farci strada, perché c’erano tutti i rifiuti». Quel vento ha sollevato anche il tetto e la fioreria è tutta da rifare. Come tanti altri edifici, qui a Dolo e nei comuni vicini di Pianiga, in particolare nella frazione di Cazzago e di Mira. «Almeno 100 milioni di danni» è la primissima stima di Luca Zaia, presidente della Regione. Ma c’è chi ne valuta il doppio. Poco meno di 500 gli edifici danneggiati o distrutti; 68 tecnici in queste ore li stanno setacciando, da volontari, per peritarne l’abbattimento (pare una novantina) o il recupero. Più di 400 i senzatetto. Ben 15 ville storiche che, dopo aver resistito per secoli, in pochi minuti sono diventate inagibili, una letteralmente in frantumi. 300 le auto da rottamare. Il solo Comune di Dolo calcola 150 milioni di danni, Mira una trentina, Pianiga una quindicina. Ermenegildo Novello ha 71 anni, è un professore in pensione. L’hanno recuperato da sotto le macerie di casa, a Sambruson di Dolo. «Sono salito al primo piano per chiudere i balconi, quando ho aperto la finestra, il vento li ha travolti, stava per tirare fuori anche me. «Ho  sentito un botto e nel giro di un istante è crollato il tetto. In quel momento ho pensato intensamente a Dio». Tante, troppe le storie come questa. Storie anche di solidarietà, con numerosi volontari, soprattutto giovani, persino profughi, – «gli angeli delle macerie» li ha chiamati Zaia – che si sono messi spontaneamente al lavoro. Come è accaduto a Mira, uno tra i paesi più colpiti, dove il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, è stato in visita: «È perfino commovente riscontrare come in situazioni così drammatiche la nostra gente riesca a tirar fuori il meglio di sé» ha detto facendo riferimento alla reazione di chi ha avuto la casa distrutta o danneggiata e si è messo subito al lavoro. «Siamo pronti a farci carico delle vostre attese – ha aggiunto Moraglia –, quelle delle famiglie per le abitazioni, ma anche quelle delle imprese e di ogni altra attività, per rilanciarle ai livelli istituzionali più alti, affinchè la ripresa possa avvenire nei tempi più rapidi».La Regione Veneto ha stanziato i primi 6 milioni, per le spese più urgenti. Il premier Renzi ha assicurato che al prossimo Consiglio dei ministri sarà riconosciuto lo stato di calamità e si provvederà ai primi fondi. Ma ieri, qui a Dolo, nel vertice tra il sottosegretario Pierpaolo Baretta e i sindaci è stato precisato che nelle casse della Protezione civile restano 62 milioni e le situazioni dove intervenire, in ambito nazionale, sono ben 15. Di qui la richiesta degli stessi sindaci di poter saltare i vincoli del patto di stabilità. Dolo, Pianiga e Mira hanno sospeso Tari, Imu, Tares e chiedono al Governo di fare analogamente per le altre incombenze fiscali. Lo chiedono anche i senatori del Pd eletti in Veneto che, tra l’altro, concordano con Zaia sul fatto che è calato il silenziatore su questo dramma. E sollecitano il rifinanziamento del fondo per le vittime delle calamità naturali, istituito nel 2010, per assicurare i risarcimenti in casi tragici come questo. Un’altra volta ancora le parrocchie sono state in prima fila nell’emergenza. Le Acli di Cazzago si sono impegnate con la protezione civile ad alimentare sfollati e volontari. «Mentre riconosciamo nella solidarietà reciproca, nei gesti di attenzione e premura, la storia più bella che in questi giorni abbiamo saputo scrivere, sappiamo anche riconoscere nella disgrazia – ha scritto il parroco, don Davide Zaffin – la mano di Dio che ci ha preservato dal piangere numerose probabili vittime e gravi feriti». Il centro parrocchiale di Sambruson, risparmiato dalla bufera, è stato subito aperto a chi aveva bisogno, col parroco don Amelio Brusegan a sottolineare «la compostezza» della sua gente, il «senso di dignità» di quanti sono rimasti privi di tutto. E domenica prossima, in diocesi di Padova, a cui l’area colpita appartiene, ci sarà una colletta straordinaria. Le famiglie colpite devono far fronte a mutui, altri hanno perso l’automobile necessaria per andare al lavoro, altri ancora devono ricomprare tutto il mobilio di casa.