Attualità

Fine vita. Veneto e Friuli, prime crepe nel cantiere del suicidio assisito "regionale"

Francesco Dal Mas mercoledì 15 novembre 2023

«Quando sono in gioco valori così importanti e i diritti fondamentali della persona, di rilevanza costituzionale, non può non imporsi l’esigenza di una disciplina di carattere nazionale. Questa riflessione porta inevitabilmente a escludere una normativa regionale sul fine vita. Non sarebbe in alcun modo concepibile una differenza di trattamento su base regionale in una materia così delicata che riguarda in maniera così incisiva la persona. Il principio di uguaglianza e di pari dignità sociale, come il divieto di ogni forma di discriminazione, non consentono una disciplina “frazionata”, “differenziata” e disomogenea in materia di fine vita». L’ha detto Alberto Gambino, presidente nazionale dell’Associzione Scienza & Vita, nelle audizioni ieri in terza Commissione del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia sulla proposta di legge d’iniziativa popolare sul fine vita.

Sia qui che in Veneto le Commissioni Sanità hanno iniziato le audizioni sui testi che fronti politici trasversali vorrebbero votati entro fine anno. In Veneto verrà ascoltato tra gli altri Stefano Gheller, vicentino, che ha chiesto alle autorità sanitaria di poter scegliere quando morire. E sempre in Veneto ieri il presidente Luca Zaia ha tentato di chiarire: «C’è una sentenza della Corte Costituzionale, la Regione non decide nessun fine vita». Ma è davvero così? La proposta di legge – si è obiettato in diverse audizioni in Friuli — parte da un presupposto erroneo: la Corte costituzionale infatti non ha sancito alcun diritto al suicidio assistito, un'istanza che spinge a dare valore all'essere umano e alla sua vita soltanto a certe condizioni. Ad aprire le audizioni l’avvocato Gambino, che ha ribadito come la Consulta nella sua sentenza 242 del 2019 (sul caso Cappatodj Fabo) ha individuato «un bilanciamento tra interessi ». Il nodo centrale è: una normativa sul suicidio assistito può essere adottata dal legislatore regionale? «Gli atti di disposizione del proprio corpo – ha specificato il giurista – sono parte dei diritti personalissimi e questi da sempre hanno richiesto disciplina di carattere nazionale».

Concorde l'avvocato Domenico Menorello, coordinatore dell'Agenda pubblica “Ditelo sui tetti”, pronto a evidenziare che «il valore della vita è il primo di tutti i valori, ma negli ultimi anni è stato legato fortemente alla capacità di autodeterminazione. Quando si dice che la vita, se non è più autonoma, può essere accompagnata alla fine in modo non naturale, al più debole si dice che la sua vita non merita tutela». Sulle cure palliative Menorello ha detto che dove sono presenti «la domanda di morte scende o scompare, perché sono la risposta al dolore». Il Forum regionale delle associazioni familiari, rappresentato da Giancarlo Biasoni e Margherita Canale, ha riaffermato l'interpretazione errata da parte dell'Associazione Coscioni della sentenza delle Consulta che «non valuta un diritto a darsi la morte con l’aiuto del Servizio sanitario nazionale» ma la possibilità di «darsi la morte ottenendo dalla struttura pubblica che ci sia una verifica sulle motivazioni in modo da non rendere punibile chi aiuta».

Secondo Biasoni «non poter guarire non significa non dover essere curati. Vogliamo che tutti abbiano la possibilità di avere solidarietà e cure che facciano compagnia e non lascino nella solitudine né gli ammalati né le loro famiglie – ha aggiunto ricordando anche il recente appello dei vescovi del Triveneto –. Le cure palliative con la terapia del dolore accompagnano la persona ammalata a vivere dignitosamente ciò che le sta accadendo». Critici sulla proposta di legge anche i referenti di Federvita Fvg, Salvatore Tumulo («quando si parla di un Sistema sanitario pubblico che deve provvedere all'approvvigionamento di un farmaco letale e di setting assistenziale durante la procedura ci troviamo davanti alla sua inversione») e l'avvocato Francesca Todone («C'è una discrasia tra la sentenza della Corte e la proposta di legge regionale »). Per Paolo Pesce, bioeticista di Trieste, «si passa da un’antropologia solidaristica a un’altra dove si svilisce il rispetto della persona. La politica deve chiedersi che tipo di società vuole costruire».