Attualità

REPORTAGE. Veleni dimenticati Nessun controllo

Antonio Maria Mira lunedì 18 novembre 2013
L’ingresso del grande impianto è chiuso da alcune barriere in cemento. Sopra, in vernice rossa, la scritta “Area sequestrata”. Da 8 anni, esattamente dal 4 novembre 2005. Siamo a Villa Literno e questa era l’azienda Siser, della famiglia Roma, finita più volte in inchieste di rifiuti. Ufficialmente doveva produrre compost, in realtà entravano liquami industriali pericolosissimi che, senza essere trattati (al più un po’ di paglia), venivano poi scaricati sui terreni agricoli della zona, in cambio di “convincenti” pagamenti per i contadini.Attività lucrosissima che venne bloccata dall’operazione “Madre terra” del Noe dei carabinieri di Caserta, coordinati dalla procura di Santa Maria Capua Vetere. Andammo con loro, 8 anni fa, per un sopralluogo. Dalle zolle dove erano stati scaricati i liquami filtrava un’acqua verde e saliva un acre odore. Su questi fondi in un anno e mezzo erano stati sversati ben 3 milioni di tonnellate di rifiuti pericolosi: metalli pesanti come cromo e zinco, idrocarburi, liquami carichi di salmonelle. Tutto è ancora lì. Nessuna bonifica, né divieti di coltivare. Solo l’impianto è stato sequestrato ed è lì abbandonato da 8 anni col suo carico di veleni. Mentre attorno non si è mai smesso di coltivare i campi dove pascolano anche le pecore. È la nostra prima tappa tra i “veleni dimenticati”, disastri accertati, con analisi, sequestri, processi e condanne. Non imprecise dichiarazioni di qualche camorrista “pentito” ma fatti concreti, vecchissimi. Donato Ceglie, sostituto procuratore generale a Napoli, è il magistrato che aveva condotto quell’indagine. «Avevo segnalato i pericoli a tutte le istituzioni: Regione, Provincia, Comuni e Arpac, ma nessuno è mai intervenuto né per impedire le coltivazioni né per bonificare i terreni o per riutilizzare, correttamente, l’impianto». Che è lì, coi capannoni con cartelli “Zona di miscelazione” e “Biotunnel areazione forzata”. Tutto abbandonato, eppure in questi anni si sarebbe potuto tranquillamente utilizzarlo per fare davvero compost (impianti che in Campania mancano) dando lavoro pulito. Invece è lì, rottame delle ecomafie. Ci allontaniamo passando sotto l’asse stradale Nola-Villa Literno. Tra cumuli di rifiuti due anziani scavano col piccone alla ricerca di qualche metallo. È la piccola economia dei rifiuti. Quella grande la raggiungiamo, dopo alcuni chilometri, in località “Masseria Annunziata” e “Cuponi Sagliano”. Qui alla fine degli anni ’80 il clan Bidognetti (Francesco “Cicciotto ’e mezzanotte” pochi giorni fa è stato condannato a 20 anni per il disastro della discarica Resit) convinse alcuni agricoltori a cedere in comodato d’uso circa 3 ettari di buona terra. Arrivarono le ruspe per portare via la terra usata per gli assi viari allora in costruzione, un altro dei grandi affari del clan dei Casalesi. Scavarono fino a 15 metri. Nelle enormi fosse furono poi scaricati rifiuti industriali, fino a riempirle. Anche qui intervenne la magistratura, sequestrando i terreni. Vennero fatti carotaggi e analisi (si vedono ancora i pozzetti per i prelievi) che accertarono la presenza dei veleni.Più volte sono state annunciati progetti di bonifica, nel 2009 il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo firmò il decreto, c’erano anche i fondi che però vennero poi dirottati per l’emergenza rifiuti. E i veleni sono ancora lì sotto terra. Attorno frutteti e vigneti. La scorsa estate uno strano incendio, innescato con alcuni barili di vernice al nitro, ha percorso le due discariche, solo quelle, senza intaccare i terreni vicini, come fosse stato controllato. Un avvertimento? E a chi?Per la terza tappa raggiungiamo l’interno della provincia, a Sant’Angelo in Formis, frazione di Santa Maria Capua Vetere. Qui la vicenda è esemplare. In un’area vicino a fiume Volturno venne aperta, abusivamente, una cava di sabbia, presto diventata un laghetto. Altrettanto abusivamente, ricorda ancora Ceglie, «vennero scaricati bidoni di sostanze chimiche e ceneri di inceneritori, tutto proveniente dalla Lombardia. Intervenimmo nel 2002 e ottenemmo anche la condanna di chi aveva scavato e di chi aveva scaricato. Anche qui avvertii tutte le autorità, ma c’era l’emergenza in Campania e mi pregarono di non tirare fuori i rifiuti. Che sono ancora tutti lì». Ci ha pensato la natura. Qui il Volturno esonda spesso e le acque, dopo aver allagato la zona, rientrano nell’alveo coi veleni del laghetto, portandoli al mare. Attorno frutteti, mentre nel laghetto si fa pesca sportiva. Chi controlla? Nessuno.