Attualità

Palazzo Madama. Unioni civili, si cerca di evitare lo strappo

Vincenzo R. Spagnolo mercoledì 23 settembre 2015
In un Senato impegnato nel rompicapo delle riforme, l’esame del disegno di legge sulle unioni civili in commissione Giustizia prosegue a scartamento ridotto. Ai piani alti del Pd l’intenzione resta quella, proclamata dal premier-segretario Matteo Renzi, di incardinare il ddl Cirinnà in Aula (eventualmente anche nella modalità 'senza relatore') entro metà ottobre, anche se il suo esame potrebbe slittare a novembre, dopo la legge di Stabilità. Il gruppo dei deputati dem, riunitosi ieri sera, intende lavorare in sinergia coi colleghi senatori per giungere a un testo condiviso che passi al Senato e poi alla Camera, senza altre modifiche, per diventare legge «entro fine anno». Se però ci si affaccia in commissione (che ieri, in seduta serale, è andata avanti nell’esame del migliaio di emendamenti rimasti), ci si rende conto di come nella maggioranza, fra Pd e Area popolare (Ncd-Udc) si cerchi ancora un punto d’incontro. «Non si può sostenere che l’attuale versione sia una buona mediazione – afferma il senatore di Ap Carlo Giovanardi –, perché contiene insidie e parificazioni al matrimonio. Basti pensare al fatto che si celebrerà di fronte a un ufficiale di stato civile con due testimoni, o che uno dei due partner potrà adottare il cognome dell’altro. O ancora che, se un partner risulta padre di un bimbo, magari nato all’estero con la pratica dell’'utero in affitto', l’altro potrà adottarlo ». Per Giovanardi, se il testo è fermo, la responsabilità è di chi punta a cambiare di fatto la Costituzione. Ma la senatrice dem Emma Fattorini invita Ap a riflettere: «Grazie alla buona volontà di una parte del Pd, c’è stato un significativo miglioramento del testo di partenza, a iniziare dalla premessa sulla 'formazione sociale specifica'. Purtroppo ora non si riesce ad andare oltre, per via di un ostruzionismo che non sente ragioni. Rivolgo ai senatori di Ap un appello alla responsabilità. Non serve giocare al 'tanto peggio, tanto meglio'». Il rischio, secondo i cattolici del Pd, è che senza un accordo in commissione, finisca in Assemblea una versione 'peggiorativa', più simile a quella originaria del ddl. Una settimana fa l’Aula ha respinto le proposte del presidente della commissione, Francesco Nitto Palma (Fi), di togliere il ddl dal calendario dei lavori e di eliminare la clausola «ove concluso in commissione». Una dicitura che, a detta della relatrice Monica Cirinnà (Pd), sarebbe un tecnicismo per dare il tempo di elaborare «un nuovo ddl che superi il testo base ora in commissione, da portare subito in Aula». L’incardinamento entro metà ottobre, insomma, è un primo passo, ma le trattative sui contenuti proseguiranno fino all’approdo effettivo in Aula, forse per novembre. Ma sui tempi c’è il pressing di M5S e dei senatori del Misto Mussini e Orellana: presto in Aula o non votiamo, avvertono. «La mediazione si può trovare, ma con presupposti chiari. La stepchild adoption e i tentativi d’omologazione al matrimonio restino fuori – conclude il senatore di Ap, Aldo Di Biagio –. Il testo va rivisto, ma possiamo farlo insieme».