Attualità

L'intervento. Un'alleanza educativa per «socialschizofrenici». Il web non perdona

Massimiliano Padula* giovedì 15 settembre 2016
È una brutta storia quella di Tiziana Cantone. La giovane donna si è uccisa tra un’indifferenza morbosa che l’aveva relegata a desolante stereotipo sessuale. Tiziana non c’è più, ma il suo volto, la sua voce, quegli imbarazzanti frame rimarranno per sempre in rete. Non è importante scendere nei dettagli di questa vicenda né rilevarne gli aspetti pruriginosi e personali. È necessario, però, capire quanto la maleducazione mediale possa incidere sulla vita delle persone. Il web non perdona. Non ci sono regole. Non ci sono sentenze di tribunali o tentativi di cambio di identità che possano impedirne ogni tipo di manifestazione. Qualunque traccia è conservata. Esiste un web evidente - social, motori di ricerca, le pagine che quotidianamente frequentiamo e in cui ci esprimiamo - e un web profondo, i cui contenuti sono (quasi) impossibili da cancellare. Tuttavia, molti vivono in modo disinibito la propria esistenza fatta di normalità ed eccessi. Condividono con 'amici' ogni porzione di sé. Anche la più preziosa e inviolabile. L’intimità ha perso per strada il senso originario. Il web è terra senza recinti. Una casa senza porte. Anche quel buco della serratura simbolo del voyeurismo non esiste più. Tutto è visibile. Spesso ce lo dimentichiamo. La nostra disinvoltura è figlia di un cortocircuito incosciente che riduce, a volte, emozioni, affetto e sessualità a passatempi. Moduliamo la sessualità sui contenuti visti su Youporn. Viviamo nell’epoca di Tinder, l’app che ci permette di geolocalizzare un partner potenziale, conoscerlo e consumare la relazione. In poche ore costruiamo legami prêt-àporter che trascendono il sesso e appiattiscono le relazioni sul presente, annullandone principi autentici come ricerca, attesa, impegno e rispetto. La colpa è dei social secondo alcuni. Ci rassicura e deresponsabilizza pensarlo. Un algoritmo o un dispositivo non sono, però, soggetti dotati di intenzionalità. Dietro e dentro di essi ci siamo noi. C’è l’uomo che in essi proietta desideri, gioie e tristezze. Rappresentano il riflesso della nostra qualità etica così traballante da farci diventare, a seconda della situazione, vittime o carnefici. Vittime, come Tiziana o come la minorenne di Rimini filmata dalle amiche mentre, ubriaca, consumava un rapporto sessuale nei bagni di una discoteca. Carnefici, come le migliaia di persone che hanno contribuito a diffondere questi video: dagli autori, alla cerchia di 'amici' fino alle migliaia di utenti che li hanno commentati, linkati, parodiati, derisi. E che, nel caso di Tiziana, lo fanno anche dopo la sua morte. Siamo tutti a rischio e tutti responsabili. Lo sono i minori che vivono la Rete come condizione naturale e la adattano alla propria identità paradossalmente in modo più responsabile dei loro genitori. L’emergenza riguarda proprio gli adulti che, con la loro schizofrenia da social, si espongono a derive e conseguenze inarrestabili. Non c’è altra scelta se non quella di una presa di coscienza attraverso processi e progetti formativi che non diano solo competenze e tecnicità, ma accompagnino l’uomo, indipendentemente dall’età, nella percezione, nei tempi e negli spazi della rete. È necessaria un’alleanza educativa (famiglia, scuola, associazioni, media) che se ne faccia carico e se ne assuma la responsabilità e contribuisca alla creazione di una cittadinanza mediale con diritti e doveri, capace di discernimento e di mettere al primo posto umanità e cuore. *Presidente Aiart © RIPRODUZIONE RISERVATA