Attualità

Elly Schlein. È una novità esplosiva la prima segretaria del Pd

Danilo Paolini martedì 28 febbraio 2023

L’innegabile carica di novità connessa all’elezione di Elly Schlein a segretaria politica del Partito democratico è stata sottolineata e analizzata già nella notte tra domenica e ieri, man mano che lo spoglio delle schede delle primarie definiva i contorni di una vittoria imprevista ma non imprevedibile.

Schlein è la prima donna a guidare il principale partito del centrosinistra e non era mai successo che il verdetto dei gazebo ribaltasse il risultato registrato tra gli iscritti al partito. In più, la nuova leader era uscita dal Pd in polemica con le scelte dell’allora segretario Matteo Renzi e vi è rientrata appena in tempo per prenderne le redini. A bocce ferme, tuttavia, vale la pena di mettere in fila alcuni aspetti meno esplorati. Il primo: si tratta di un successo certo non solo di apparato (altrimenti non si comprenderebbe il capovolgimento dell’esito del voto nei circoli), ma anche di apparato.

Schlein ha potuto beneficiare, infatti, del sostegno di big come Zingaretti, Bettini, Orlando, Franceschini, il cui peso nei rispettivi territori va ben oltre i tesserati e risulta più incisivo di quello di tanti sindaci e presidenti di Regioni, in larga parte schierati con Stefano Bonaccini. Inoltre, trattandosi di primarie aperte, non è affatto improbabile che a votare per Schlein siano andati iscritti e simpatizzanti di tutto ciò che sta a sinistra del Pd, elettorati piccoli, ma motivati e inclini alla mobilitazione. Di certo, ciò è accaduto per Art.1 di Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani, fuoriusciti ormai di fatto riassorbiti nel Pd. Il secondo aspetto è che l’affluenza di queste primarie – comunque buona, vista la drammatica disaffezione al voto che si è registrata agli ultimi appuntamenti elettorali – è la più bassa in assoluto nella storia del Pd e del centrosinistra. Il terzo aspetto riguarda le proporzioni della vittoria: netta, ma Bonaccini ha portato a casa oltre il 46% dei consensi. Tutti elementi che, messi insieme, descrivono bene la difficoltà del compito assegnato alla neosegretaria dem. Più volte il suo rivale interno le ha fatto notare che lei, paladina del rinnovamento, ha goduto dell’appoggio di quasi tutte le “vecchie” correnti. Schlein ha replicato che «nessuno di loro ha chiesto in cambio niente».

Un’affermazione ingenua oppure furba, ma di certo non convincente: in politica spesso si chiede dopo, non prima. È da oggi, insomma, che la leader dovrà dimostrare se e quanto è in grado di smarcarsi dal correntismo. Nella formazione della sua squadra, certo, ma magari anche insistendo sulla convinzione – espressa finora – che al sostegno all’Ucraina sia necessario affiancare uno sforzo per aprire spiragli di dialogo e diplomatici dove possa finalmente inserirsi, se non la pace, almeno il cessate il fuoco. L’impresa più ardua per la segretaria, comunque, sarà tenere insieme il partito, preservandolo dall’ennesima scissione. Lo spostamento a sinistra è evidente.

Più di qualcuno ha detto che domenica sono stati regolati i conti «con il renzismo». Ne ha fatto le spese Bonaccini, già sostenitore dell’ex presidente del Consiglio fiorentino, il quale pure ha più volte rammentato la sua storia di ex-comunista pragmatico all’emiliana e ha preso le distanze dal Jobs Act: non gli è bastato per vincere, ma Schlein non potrà ignorare il suo 46% se non vuole perdere al centro quanto o più di quel che può guadagnare a sinistra. A meno che non sia convinta di poter “svuotare” il Movimento 5 stelle, scommessa persa in precedenza da Nicola Zingaretti e da Enrico Letta. Insieme ai diritti sociali (come il Reddito di cittadinanza, il salario minimo, la cittadinanza ai “nuovi italiani”) la numero uno del Pd interpreta i diritti individuali in modalità molto estensiva e persino esplosiva: legalizzazione della cannabis, matrimonio egualitario, utero in affitto, eutanasia.

Ma adesso è la segretaria di tutto il Pd e dovrà relazionarsi con le diverse sensibilità interne al partito, anche con quella popolare e cattolico-democratica che insieme a quella socialdemocratica post-Pci e a quella laica-liberal è radice essenziale del partito. Un patrimonio di idee e di ideali che, solo per fare qualche nome, parte da Sturzo e De Gasperi, passa per Dossetti, Moro, Zaccagnini e Castagnetti, arriva fino a Sassoli: se il Pd lo perdesse, diventerebbe un’altra cosa, forse troppo simile a una (chissà quanto) grande scatola di Sardine.