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INCHIESTA. L’Umbria ricominciò da Giotto

Maria Rita Valli sabato 9 giugno 2012
Quindici anni dopo il violento terrmoto che colpì Umbria e Marche, il bilancio è più che positivo. Nell’ultimo rapporto semestrale sulla ricostruzione (dicembre 2011) il 96% della popolazione risulta rientrata nelle proprie case. Sul fronte dei lavori restano da iniziare il 2% degli interventi finanziati e l’8% è in fase di completamento dopodiché si potrà dire che la ricostruzione è completata. Ma furono le immagini della Basilica superiore di Assisi restaurata, riaperta due anni dopo il crollo delle vele e gli affreschi di Giotto in frantumi, a diventare il simbolo della rinascita.
Non fu perso un minutoÈ questo il risultato raggiunto con il "modello Umbria - Marche", in cui il Durc (Documento unico di regolarità contributiva) rappresentò il simbolo dell’impegno per la trasparenza e la lotta alle infiltrazioni mafiose. Nelle tensostrutture i terremotati in assemblea cominciarono a parlare di ricostruzione "leggera" e "pesante" e di "piani integrati di recupero" appena usciti dall’emergenza. E fu subito chiaro che lo snodo della ricostruzione sarebbero stati i comuni. Appena sei mesi dopo il sisma con la legge 61 del 30 marzo 1998 iniziò la fase della ricostruzione e la Regione aprì un osservatorio per un monitoraggio continuo e sul sito internet rese disponibili i dati aggiornati, tutta la normativa e agli elenchi dei tecnici con il numero di pratiche in carico. La ricostruzione fu quindi finanziata in varie tranche, con 5.300 milioni di euro destinati a recupero di edifici, opere pubbliche, attività produttive, beni culturali e interventi su dissesti idrogeologici.La ricostruzione leggera, quella degli edifici meno danneggiati, si concluse nel 2003 ma già a fine 2001 più della metà della popolazione era rientrata a casa, e nel 2004 la percentuale era a quota 79. Diversa invece la storia delle popolazioni dell’area del comune di Marsciano (Perugia), colpite dal terremoto del 15 dicembre 2009: a tutt’oggi alle decine di famiglie evacuate non è dato sapere se e quando, né con quali procedure, potranno ricostruire o riparare i danni.
Le quattro vittimeLa scossa più forte arrivò il 26 settembre 1997 alle 11.42: l’onda sismica di 5,8 gradi Richter fece tremare l’Appennino umbro-marchigiano e tra le tante case e chiese colpite fece crollare anche una vela della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi e cadere gli affreschi di Giotto. Sotto le macerie morirono quattro persone, due frati e due tecnici che stavano controllando i danni della scossa avvertita alle 2.33 della notte. I primi soccorsi arrivarono il giorno stesso. Il terremoto in realtà si era già fatto sentire agli inizi di settembre e per altri sei mesi continuò senza dar tregua alla popolazione che nell’emergenza, prima nelle tende e poi nei container, si preparava ad affrontare il freddo e lungo inverno. Il 4 aprile 1998 l’ultima forte scossa di 4,8 gradi Richter, con epicentro a due chilometri da Gualdo Tadino, fece crollare altri edifici.
Ventiduemila sfollatiIn Umbria 9.285 nuclei familiari distribuiti in 24 comuni dovettero abbandonare le case. Più di 22.000 persone delle quali oltre 16.000 concentrate nei comuni di Foligno, Valtopina, Nocera Umbra e Gualdo Tadino lungo la Flaminia. La strada al tempo era a due corsie, insufficienti a sostenere il transito dei mezzi diretti alle migliaia di cantieri che si sarebbero aperti con la ricostruzione. Perciò fu raddoppiata.
Danneggiate 1.500 chieseA tre anni dal Giubileo del 2000 oltre 1.500 chiese furono danneggiate o inagibili, a cominciare da quelle di Assisi. Il vescovo di allora, Sergio Goretti, nelle priorità per la ricostruzione, indicò le strutture produttive, poi le chiese per consentire la ripresa del turismo, quindi le case. Le immagini del crollo della basilica di San Francesco che avevano fatto il giro del mondo diventando il simbolo del terremoto avevano fatto crollare anche il turismo in tutta la regione. Appena due anni dopo le immagini della Basilica restaurata e riaperta al pubblico mostrarono che la ricostruzione era avviata.
L’emergenza durò tre mesiLa fase dell’emergenza, affrontata con l’inverno alle porte e la popolazione decisa a rimanere vicino alla propria casa, si concluse in tre mesi tra polemiche sulle scelte tra tende, container e casette di legno. Mentre si discuteva di questo la popolazione chiedeva certezze sulla ricostruzione e nelle assemblee discuteva anche delle regole oltre che dei finanziamenti. Furono effettuati 70.000 sopralluoghi ed emessi oltre 20.000 provvedimenti di inagibilità su edifici privati. 1.650 beni monumentali avevano subito danni e 3.150 opere d’arte mobili furono messe al riparo in attesa di restauro.