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Il caso. «I genitori gay vanno riconosciuti», l’Ue scavalca il diritto degli Stati

Marcello Palmieri giovedì 8 dicembre 2022

Il commissario dell’Unione europea per la giustizia, Didier Reynders

Riconoscere i figli ottenuti da coppie gay come un’unica famiglia, in tutti gli Stati europei. È quanto chiede una nuova proposta di Regolamento, annunciata ieri da Bruxelles, che vorrebbe uniformare per tutti i Paesi le norme sulla genitorialità. Secondo il commissario dell’Unione europea per la giustizia, Didier Reynders, «sono circa due milioni i bambini che si vedono negare il rapporto giuridico con i genitori». Una situazione «inaccettabile» per lui, posto che la proposta di regolamento vorrebbe tutelare l'interesse superiore e i diritti del bambino. L’eventuale approvazione del testo dovrà avvenire all’unanimità, come previsto dalle norme del Consiglio d’Europa, previa consultazione dell’Europarlamento.

Già ora, però, la proposta dell'Unione suscita diverse perplessità. Per Alberto Gambino, prorettore dell'Università europea di Roma e presidente di “Scienza e Vita”, uno tra i primi temi di fondo «è il margine di discrezionalità che l’Europa ha lasciato agli Stati»: una questione tecnica, ma assolutamente rilevante. «Storicamente - spiega il giurista - i Paesi hanno conferito all’Unione una delega di sovranità sulle materie economiche. Non sui temi che affondano le loro radici nei valori più profondi di un popolo, come sono quelli che chiamano in causa la famiglia». Ciò significa che uno Stato ben potrebbe (e puó) riconoscere la genitorialità piena a una coppia omosessuale, e un altro Paese no, senza il rischio di incorrere in sanzioni.

Ma ecco un tema ancor più pregnante: quello del miglior interesse del minore. Se passasse la proposta di Bruxelles, la legge farebbe coincidere sempre e comunque il bene supremo del bimbo con la sua permanenza presso i soggetti che l’hanno ottenuto, per forza di cose ricorrendo a materiale genetico estraneo alla coppia. «Una forzatura», per Gambino, che personalmente ritiene degno di tutela, «sopra ogni cosa, il diritto dei figli a conoscere le proprie origini biologiche, come sancito anche dalla Corte Costituzionale».

In ogni caso, aggiunge il docente, è proprio l’Italia ad aver coniato in questi casi una procedura che cerchi di guardare al miglior interesse del minore in concreto: «In caso di nascita voluta da una coppia gay - ricorda infatti Gambino - non basta voler essere menzionati nei documenti come genitori. Serve la decisione di una persona terza, il giudice, che accerti se il supremo interesse del bimbo sia davvero quello di rimanere con chi l’ha voluto, o meno». Nella sostanza, l’intervento del magistrato è un elemento di garanzia che deve intervenire di volta in volta, a tutela «dei diritti di tutta la compagine, e non solo di chi desidera un riconoscimento genitoriale».

Questo tema chiama poi in causa un altro problema, che il prorettore definisce «ancora più drammatico»: la maternità surrogata. Questa pratica in Italia è vietata. Sia la Cassazione sia la Corte Costituzionale hanno confermato l'impossibilità di affittare un utero in Italia. Quando però una coppia espatria in un Paese che consente questa pratica, e poi torna con il bimbo in braccio, il diritto italiano non ha risposte certe.

Ancora Gambino: «Si pone un problema di legalità: non solo per l'incertezza della regolamentazione giuridica. Ma anche perché il bimbo generato da una donna che poi l’ha dato ad altri sarebbe tecnicamente adottabile, e dovrebbe ricadere nelle liste di tutte le coppie di genitori che hanno chiesto di avere un bambino». E cosa accadrebbe se la proposta europea venisse approvata? «Chi ha ottenuto un bebè affittando un utero all’estero, per eludere il diritto italiano, passerebbe davanti a tutte le coppie in lista d’attesa». Con un paradosso: chi viola la legge italiana, verrebbe preferito rispetto a chi la osserva.

La proposta europea accende discussioni anche sul fronte politico. «Se si è genitori in un Paese europeo lo si è in ogni Stato dell'Unione - afferma la deputata Pd Laura Boldrini -. Se il regolamento verrà approvato, il governo Meloni dovrà adeguarsi, mettendo da parte la sua visione oscurantista della società, allineando il diritto italiano a quello internazionale. Matteo Di Maio, di Più Europa, si dice «d’accordo con l’approccio della Commissione», denunciando «le leggi italiane che discriminano tra famiglie di Serie A e di Serie B», e auspicando il «riconoscimento delle famiglie arcobaleno e dei loro figli».

Di parere opposto l’eurodeputato di FdI Vincenzo Sofo: Bruxelles vuole «utilizzare il grimaldello della libertà di circolazione come arma per scavalcare i governi nelle politiche familiari al fine di imporre l’agenda Lgbt». La Commissione «si sta autoassegnando una competenza che spetta ai singoli Stati membri, senza aver avuto da nessuno mandato». Il rischio, evidenzia Sofo, è che si aprano «le porte all'imposizione automatica di pratiche come l'utero in affitto». Sulla stessa lunghezza d’onda l’associazione “Pro Vita & Famiglia Onlus”, per la quale «la proposta è grave e pericolosa». Così facendo, «si palesa la volontà di imporre gli effetti dell'aberrante e inumana pratica dell'utero in affitto, ad oggi illegale in molti Paesi. L’unico “interesse superiore del bambino” è quello di avere una mamma e un papà».