Attualità

L'analisi. Tutti gli accordi (firmati da Roma) che ci vincolano

Giovanni Maria Del Re sabato 15 marzo 2014
Matteo Renzi non avrà una bat­taglia facile in Europa. So­prattutto Bruxelles e Berlino si aspettano dal premier da un lato le riforme strutturali che lo stesso Rotta­matore ha annunciato e che per l’Ue vanno nella direzione giusta, ma al tempo stesso nessun allentamento sui conti pubblici, in particolare per quel­lo che in Europa fa più paura: il gi­gantesco debito pubblico italiano ar­rivato a 2.089,5 miliardi di euro, intor­no al 134% del Pil. Un potenziale, e­norme rischio per tutta l’Eurozona e oltre, qualora i mercati dovessero per­dere fiducia nell’Italia. Anche per que­sto Bruxelles e Germania non inten­dono sentir parlare di allentamenti di sorta, come ribadirà a Renzi lunedì a Berlino il cancelliere Angela Merkel. Sperare di 'rivedere' le regole, come auspica Renzi, è coraggioso. A comin­ciare dalle soglie del 3% del Pil per il de­ficit e del 60% per il debito pubblico, scolpite nel marmo visto che sono an­corate nel Trattato Ue – per cambiar­lo ci vuole l’unanimità dei 28 Stati membri, 'falchi' inclusi. Oltretutto, negli anni, sorveglianza e vincoli sono semmai aumentati – con l’accordo i­taliano. Centrale è il cosiddetto Six Pack , in vigore dal 13 dicembre 2011, che obbliga al rispetto degli obiettivi di medio-termine, e cioè il pareggio di bilancio in termini strutturali (al net­to di fattori ciclici). La normativa in­troduce inoltre sanzioni economiche per chi non rispetta i parametri, fino allo 0,5% del Pil. Corollario, dal 2013, è in vigore anche il Two Pack , una nor­mativa Ue che dà alla Commissione il diritto di valutare, ed eventualmente respingere, in anticipo sull’approva­zione nei Parlamenti, le Finanziarie degli Stati membri dell’Eurozona. Co­me se non bastasse, l’Italia ha siglato insieme ad altri 24 Stati (fuori solo Re­gno Unito e Repubblica Ceca) a inizio 2012 il famoso Fiscal Compact voluto dalla Merkel, che ricalca il Six Pack con l’obbligo di pareggio di bilancio in ter­mini strutturali. Obbligo introdotto a dicembre 2012 addirittura nella Co­stituzione italiana. Il problema più grosso, lo dicevamo, è il debito pubblico. Il Six Pack impone l’obbligo di ridurlo in misura di un ventesimo l’anno per la parte ecce­dente il 60% del Pil – per l’Italia dun­que un colossale 74%. Obbligo che scatterà per l’Italia dal 2016: se il per­corso di riduzione del debito non do­vesse essere rispettato, partirà una procedura che potrà sfociare nelle san­zioni. Il problema è che per l’Ue, viste le dimensioni dello sforzo, l’Italia de­ve cominciare subito a prepararsi e in­vece segna il passo, e per questo Bruxelles chiede per il 2014 una cor­rezione dello 0,5% del Pil (circa 7,5 mi­liardi di euro) del deficit strutturale. L’idea che un disavanzo nominale del 2,6%, come previsto per il 2014, dia 'margini' dello 0,4% (quello fino al tet­to del 3%) è insomma per l’Italia deci­samente illusorio – visto che aumen­tarlo fa crescere anche quello struttu­rale e dunque il debito pubblico. L’u­nico, arduo, spiraglio è convincere l’Europa che le riforme strutturali an­nunciate saranno talmente efficaci da far ripartire con vigore il Pil, cruciale per il rapporto con debito e deficit. U­na difficile scommessa.