Attualità

Gli scenari. Tre strade per un esecutivo. E l'ombra del nuovo voto

Marco Iasevoli martedì 6 marzo 2018

Al Colle manca la materia prima, la ripartizione precisa dei seggi che spettano a ogni forza parlamentare in ciascuno dei due rami del Parlamento. Senza numeri, non c’è nulla da dire, nessuno da sentire in modo particolare e specifico, alcuna pratica da avviare. E pazienza se dal Nazareno è arrivata qualche stoccata non prevista del segretario dem dimissionario Matteo Renzi. Per Sergio Mattarella, tutto ora fa parte del grande gioco dei posizionamenti: ognuno sceglie la propria parte di campo da presidiare. I negoziati per provare ad accorciare le distanze inizieranno tra qualche giorno, prima occorre far «decantare». Ecco, «decantare », l’unico verbo discreto che viene fuori dalle mura del Quirinale.

Spazio ai protagonisti, quindi. E alle loro manovre di avvicinamento. Ciascuno ha la propria legittima via principale per arrivare a Palazzo Chigi. C’è la via-Salvini. E la via-Di Maio. Entrambe le opzioni verranno ascoltate e vagliate con estrema attenzione. Quale per prima, dipende dai freddi numeri e dall’evoluzione dei dibattiti dentro i partiti.

La via-Salvini con i «responsabili»

Quella del leader del Carroccio, forse, è la via più chiara: non c’è un vincitore aritmetico, quindi si parte dalla coalizione che accumula più seggi e può arrivare più facilmente a una maggioranza. Un governo di centrodestra cui si aggiungono dei «responsabili», sostantivo-aggettivo che negli ultimi anni non è stato associato alle pagine parlamentari più gloriose ma che ora torna utile per descrivere un possibile allargamento dell’asse Salvini-Berlusconi-Meloni sino a singoli parlamentari centristi, democratici e pentastellati che si staccano dai gruppi che li hanno eletti. Non sono pochi, i «responsabili» da individuare e portare a casa. La maggioranza al Senato è di 158 senatori. Al centrodestra, è una stima, ne mancano una trentina. Ancora di più alla Camera per agguantare il quorum di 316. La strada, quindi, è in salita.

La via-Di Maio con le desistenze

È proprio la mossa di Renzi (opposizione senza se e senza ma, e lui a guardia della posizione dem per evitare 'inciuci') a rendere più difficile la composizione di una maggioranza. Sia per Salvini, sia per M5S. La via-Di Maio, infatti, è simile ai «due forni». Una proposta di governo aperta a tutti, che quindi conterebbe, più che su alleati stabili, su vere e proprie desistenze o da destra o da sinistra. Da sinistra ora è più difficile, perché il segretario dimissionario dem vuole tenere irregimentati non solo quelli che dialogherebbero con Fi e Lega, ma anche quegli esponenti di minoranza che vorrebbero «mettere alla prova » M5S consentendogli di accedere a Palazzo Chigi.

I balletti in politichese, è la previsione degli addetti ai lavori e anche del Colle, continueranno sino all’insediamento delle Camere, il prossimo 23 marzo. All’appuntamento per l’elezione dei due presidenti M5S si presenterà con una rosa di nomi da «sottoporre a tutti», mentre il centrodestra si riserva di valutare in Aula se l’accordo è più facile con la sinistra o con i grillini. Le variabili sono molteplici. E al Senato, dove al quarto scrutinio si procede con ballottaggio tra i primi due del turno precedente, potrebbe concretizzarsi una prima convergenza M5S-Lega.

La via-Renzi (senza governo)

La via-Renzi è infatti quella di stringere così tanto l’imbuto da costringere Carroccio e pentastellati a parlarsi. Ma non è questa la terza via per il governo. Numeri a parte, i rischi politici sono sproporzionati per Salvini, che adesso punta a rappresentare l’intero centrodestra, non a fare lo junior partner di Di Maio.

La terza via: governo di scopo, nuova legge elettorale

La terza via per il governo, invece, è la carta che per ora il Colle tiene coperta e che girerà solo quando sarà verificata l’impraticabilità delle proposte del centrodestra e di M5S. Una proposta di «governo di scopo» con al centro legge elettorale e manovra, da offrire a tutti e con un premier dal profilo autonomo. Una sorta di «ultima mossa» prima di intraprendere il percorso verso le urne anticipate, che comunque resta molto, molto probabile. Nemmeno questo sentiero è semplice. Però i segnali di dissenso interni al Pd rispetto alla linea-Renzi, le parole di Di Maio, l’attendismo di Berlusconi e di alcuni alti dirigenti della Lega dimostrano che c’è una voglia di governo 'latente', ancora non pienamente esplicitata e che forse emergerà pienamente quando i parlamentari si insedieranno e ragioneranno sulla durata del loro mandato. Considerando che l’iter delle consultazioni inizierà il 2 aprile, dopo le prime sedute elettive delle Camere, è prevedibile che lo stallo duri almeno sino agli inizi di maggio, per poi assumere una decisione. Scontato quindi che l’elaborazione del Documento economia e finanza tocchi a Paolo Gentiloni. Il testo con gli impegni su deficit e Pil sarà più 'neutro' possibile dal punto di vista politico, di modo che Mattarella possa chiedere a tutto il Parlamento uno sforzo unitario di responsabilità per non allarmare ulteriormente Bruxelles e i mercati.