Attualità

Le donne calpestate. Le ragazze perdute nella tratta

Marco Birolini lunedì 26 luglio 2021

Un giro d’affari che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi di euro l’anno, per un bacino di "utenza" che raggiunge secondo alcune valutazioni i 10 milioni di "clienti" ogni anno. I numeri della prostituzione in Italia, ricavati da una stima della Fondazione Gedama di Bergamo, che da anni si occupa del fenomeno, sono impressionanti. Un turpe business alimentato dalla tratta internazionale di esseri umani, in particolare giovani donne e minorenni. Secondo "Save the children", su 2.033 persone prese in carico dalla rete anti tratta nel 2019, l’84% era vittima di sfruttamento sessuale. Una su 12 ha meno di 18 anni. Le schiave moderne – sarebbero circa 30 mila nel nostro Paese – arrivano soprattutto dalla Nigeria, ma anche da Albania e Romania. Dietro il traffico ci sono le mafie di quei Paesi, ormai fortemente radicate in Italia. Al punto da stringere veri e propri accordi per la spartizione del territorio, con l’assegnazione dei marciapiedi a questa o a quella etnia. Ma il problema non è solo nostro. L’Unodc, l’Ufficio anticrimine dell’Onu, ha contato più di 11mila vittime di tratta nel 2020 in Europa occidentale. Di queste, il 44% è stato “importato” come oggetto di piacere. Il Covid ha solo frenato la domanda. Ma gli incontri a luci rosse sono in qualche misura proseguiti a domicilio. Poi sono ripartiti di slancio in strada con la fine del coprifuoco. Senza alcun riguardo, va da sé, per le misure di distanziamento e prevenzione del contagio.

«Le vittime, sottoposte a un giuramento, si impegnavano a non denunciare e a pagare all’organizzazione il debito d’ingaggio e la quota per il viaggio dalla Libia all’Italia, ammontante a circa 25 mila euro». Basta una frase tratta dall’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (febbraio 2021) per fotografare il destino delle ragazze nigeriane deportate in Italia per prostituirsi. L’inganno, la rotta del Mediterraneo, la violenza e la paura. Le notti passate sulla strada ad aspettare uomini che comprano piacere, senza curarsi della sofferenza altrui. Compresa nel prezzo, come le prestazioni sessuali. A chi importa, in fondo, di una ventenne nigeriana in tacchi a spillo? Di certo non alla "maman", che prima si finge amica e poi si rivela aguzzina, costringendola a vendersi per ripagare il debito contratto con la rete criminale che l’ha portata in Italia. «I rituali praticati sulle giovani – sottolinea la Dia – consistono nel pronunciare un giuramento nelle mani delle "maman", donne più anziane che sono state a loro volta vittime di tratta sino a quando non sono riuscite a riscattarsi pagando il tributo all’organizzazione. Queste ultime inducono le malcapitate ad una perdita della loro identità ed alla convinzione di essere diventate proprietà di altri. Per assicurare la tenuta associativa è inoltre sempre presente il ricorso alla violenza». Un metodo praticato anche da delinquenti albanesi e rumeni, che attirano in Italia le giovani e belle connazionali con la promessa di un buon posto di lavoro o illusori fidanzamenti. Poi le costringono a vendersi per pochi euro.

I “cult”, i clan mafiosi nigeriani, usano persino il "voodoo" per tenere soggiogate le giovani. E quando non basta prendono di mira i familiari in Nigeria. «Dissi alla mia "maman" che non avevo paura di lei. Ma in seguito seppi da mio padre che alcune persone erano andate a minacciarlo. Lui a un certo punto aveva mostrato un machete e quelli erano spariti». La testimonianza coraggiosa di Sharon, insieme ad altre, è stata raccolta in un recente libro realizzato dalla Fondazione Gedama, piccola realtà bergamasca impegnata da anni nella lotta alla tratta e nell’assistenza in strada. Una tazza di the caldo quando si gela, due parole di conforto, la proposta di una vita diversa. Piccoli grandi gesti che aiutano a sentirsi – almeno per pochi minuti – una persona e non una schiava. E che aprono una breccia nel muro di diffidenza contro cui sbattono i volontari. Riuscire a demolirlo è fondamentale per convincere le ragazze a uscire dal “giro”.

Il presidente della Gedama è un sacerdote, don Gianpaolo Carrara. Una missione “sporca”, la sua, spesa in mezzo alle ultime tra gli ultimi. Non sempre ben vista. Anche lui, come Sharon, ha trovato la forza di dire no. Ma non basta, perché sono troppi quelli che preferiscono guardare altrove. Bergamo è terra di grandi lavoratori, devoti alla famiglia e buoni cristiani. Eppure ogni sera grosse auto solcano le strade della periferia e della provincia a caccia di “lucciole”. Ma non mancano le utilitarie dei pensionati e nemmeno i ragazzini in scooter, che riempiono così i loro pomeriggi.

Il business del sesso non conosce crisi e il racket lo utilizza per accumulare soldi che poi vengono reinvestiti nel traffico di droga oppure – annota ancora la Dia – «inviati in Nigeria, spesso attraverso intermediari che non utilizzano sistemi ufficiali o tracciabili, per essere capitalizzati oppure investiti nell’acquisto di beni immobili». I cult si comprano l’Africa un pezzo dopo l’altro e continuano a reclutare manodopera, in un circolo vizioso senza fine.

Forze dell’ordine e magistratura fanno quello che possono. Nel 2019 le Dda di Torino e Bologna hanno assestato duri colpi al clan dei "Maphite", uno dei più potenti in Italia: 37 arresti e persino la scoperta della "Bibbia verde", una sorta di Costituzione dell’organizzazione. Ma il meccanismo non si inceppa e continua a macinare sogni e speranze di chi parte per l’Europa per disegnarsi una vita migliore. Sbirciando tra i social, si direbbe che molte riescano nell’impresa. Foto con vestiti eleganti, belle macchine, locali di grido. Ma è solo una finzione, per rassicurare i parenti lontani. Che a volte ci credono fin troppo, chiedendo soldi a figlie e sorelle migrate nel paese del Bengodi. Senza sapere, o fingendo di non saperlo, che così facendo le costringeranno a “lavorare” ancora di più, non solo per affrancarsi ma anche per soddisfare le esigenze, più o meno reali, di chi è rimasto in Nigeria e che si frega le mani pensando alle galline dalle uova d’oro partite per l’Europa. Protagoniste, loro malgrado, di una favola in cui a vincere sono sempre i cattivi.