Attualità

INFANZIA NEGATA. Tra Willi e gli altri, i bambini di Patrasso che sognano l'Europa

dal nostro inviato a Patrasso Paolo Lambruschi sabato 20 dicembre 2008
L’assedio dei minori alla fortezza Europa va in scena ogni giorno da mesi a Patrasso, il porto del Peloponneso più vicino alle nostre coste. Notte e giorno si assiste, nell’indifferenza generale, al drammatico assalto a un chilometro e mezzo di perimetro portuale di un esercito di profughi afghani composto da centinaia di adolescenti che per la burocrazia sarebbero «non accompagnati». Si vedono anche bambini sotto i 14 anni, che anziché venire tutelati dal governo greco e dall’Ue, sono costretti a giocare a rimpiattino a migliaia di chilometri da casa per schivare i manganelli della polizia, L’obiettivo è conquistare un varco tra l’entrata 6 e 7, dove partono le grandi navi veloci per la Penisola. Da lì sognano la Gran Bretagna o la Scandinavia, dove hanno parenti che li attendono. Si muovono in gruppi, silenziosi e tenaci nonostante i visi imberbi. Fuggono dall’Afghanistan senza futuro, da etnie minoritarie e oppresse, gli hazara e i tagiki. Ci sono anche i pashtun, l’etnia dei Talebani. Due terzi hanno meno di 18 anni, la maggior parte degli «adulti», 20. I ragazzi si appostano in diversi gruppi dall’altro lato della statale del porto, sulla massicciata della ferrovia o davanti alle agenzie di viaggio. Mentre qualche pattuglia attira l’attenzione degli agenti (non più di una decina in divisa, qualcuno in borghese), un altro centinaio attraversa di scatto la litoranea, si avvicina alla recinzione e, se non ci sono guardie in vista, la scavalca per tentare l’imbarco clandestino su una nave diretta verso il Belpaese. Oppure si va in caccia tra i docks di un tir italiano per salirci nel momento più favorevole, la partenza. I più piccoli scivolano perfino negli anfratti sotto la scocca, vicini alle ruote, rischiando la pelle. Le ronde dei difensori del porto e dell’Ue riescono a ricacciarne un po’. Mostrano i muscoli, accendono le sirene anche di notte e sgommano con le jeep, ne arrestano qualcuno per poi rilasciarlo.Ma i più riescono a partire. Non è detto che arrivino. Di alcuni si perdono le tracce per strada. La scorsa settimana due tredicenni si sono imbucati per sbaglio su un camion diretto ad Atene. Quando se ne sono accorti sono saltati dal veicolo in corsa. Uno è morto, l’altro è rimasto seriamente ferito. Ci sono poi i tanti rispediti indietro dalla nostra polizia, Si racconta di altri che, al largo delle nostre coste, si siano buttati tra i flutti per sfuggire alla Polmare.Tra i gruppi vedo un ragazzo disabile che fatica a camminare. Due fratelli più piccoli lo tengono per mano e lo aiutano ad attraversare. Ed ecco Mohamed, 40 anni, che tiene per mano il figlioletto di 5, unici scampati all’eccidio della loro famiglia da parte dei talebani. Entra nel porto dall’ingresso principale con una sporta dove c’è tutto quello che possiedono. Gli uomini in divisa fingono di non vederlo. Fa così tutti i giorni: cerca un camion, si mette il piccolo sulle spalle e provano a salire. In genere li scoprono, forse oggi è la volta buona.Lasciano tutte il groppo in gola le storie della baraccopoli dei rifugiati a Marina di Patrasso, un chilometro dal porto. Ci vivono 2mila persone, tutti maschi, ammassate in condizioni inumane, senza servizi igienici, in baracche tirate su con legno e plastica, coperte di teli impermeabili. Ci si lava in mare, i bisogni si fanno tra i cespugli. Sono giorni di pioggia battente, tra i rigagnoli di fango i ragazzi girano in ciabatte. Chi non va al porto raccoglie acqua piovana in fusti e accende fuochi. L’insediamento è soprendentemente organizzato: ci sono due bar e tre negozi di alimentari e scarpe, persino una moschea. Qualcuno ha realizzato allacciamenti pirata all’acquedotto e alla linea elettrica. È un non luogo creato dal limbo burocratico, Per la Convenzione di Ginevra costoro hanno diritto di asilo. Ma per la legge europea bisogna chiederlo nel paese di arrivo e la Grecia accoglie pochissime domande dei profughi. Gli altri devono andarsene, ma qui nessuno ha i soldi per il viaggio di ritorno e resta illegalmente.Allora da tutta la Grecia si tenta il viaggio verso l’Italia da Patrasso, punto di fuga e di ritorno. Ogni settimana c’è il turnover, chi fallisce torna per ritentare. Il campo scoppia, si vede da quanti sono accampati in un cantiere vicino, sotto gli scheletri delle case. «Dal maggio scorso – spiega Hamad, 26 anni, uno dei pochi a parlare inglese, fuggito perché in patria faceva l’interprete per le ong e i Taleban lo hanno minacciato – la situazione è esplosa, siamo troppi e continuano gli arrivi. In Afghanistan le famiglie danno tutto ciò che hanno ai figli per farli fuggire». Come Willy, 15 anni, tagiko alto con il sorriso da bambino. «Sono arrivato 4 giorni fa dalla Turchia. Ho tentato ieri di partire. Stasera sono certo, vado in Italia. Ma non mi interessa restare, voglio spostarmi in Gran Bretagna, dove ho un fratello. E dopo di me partirà da casa mio fratello minore». Awi ha 14 anni. Getta la spugna. Va dai medici di Msf con le mani sanguinanti per le bastonate. «Sono già stato due volte in Italia. Una volta su un camion e una sulla nave. La polizia mi ha trovato e rispedito qui per mare». Imran, 10 anni, cerca in Europa i suoi. Non sa dove siano, i poliziotti iraniani li hanno divisi a Teheran. Lui insiste. Confusi tra i disperati ci sono gli smugglers, i trafficanti. Hanno l’aria da boss e il cellulare. Si dice che chiedano il pizzo per un posto letto nella favela. E chi paga a questi avvoltoi altri 2mila euro viene fatto salire sui camion lontano da sguardi indiscreti. Per trovarli o sopravvivere qualche ragazzo arriva a spacciare o prostituirsi. Esco dal villaggio. Al porto un gruppo scavalca, tra loro vedo Willi. Si volta, mi lancia un sorriso di speranza prima di sparire in un tir italiano.