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Intersos. Tra i medici italiani in Afghanistan: «Il nostro impegno non si fermi»

Antonio Maria Mira domenica 30 gennaio 2022

Medici di Intersos tra i piccoli malati in Afghanistan

«Il ricordo più forte sono i bambini che piangono disperati per la fame. Non c’è bisogno delle parole, quel pianto parla da solo». Alessandro Verona, referente per l’Europa dei progetti sanitari di Intersos, è da poco rientrato dall’Afghanistan dove per due mesi è stato il coordinatore medico della missione dell’Ong nelle province di Kandahar, Kabul e Zabul. Medico di prima linea sia nei ghetti italiani che in tanti Paesi del Terzo mondo, ci racconta di «una sanità completamente in ginocchio a cui si aggiunge la carestia, un quadro drammatico», in particolare per i bambini. «L’aumento della malnutrizione lo abbiamo visto attraverso l’attività sul terreno. Vengono da noi perché stanno male. Bambini portati dalle madri, donne incinte che non hanno alcuna attenzione.

È un numero pesantissimo: quasi il 10% dei bambini sotto i 5 anni che visitiamo hanno bisogno di un trattamento per malnutrizione severa acuta. Un bambino ogni dieci. È la percentuale più alta del Mondo. E se non viene trattata porta sicuramente alla morte». Una situazione nella quale il Covid non è la principale emergenza. «La copertura vaccinale con due dosi è dell’ 11%. Non c’è una grande consapevolezza ma perché c’è un contesto davvero drammatico. Noi anche col Covid abbiamo tutto garantito, la sicurezza, l’acqua, il caldo. Lì manca il cibo. Non è in aumento la curva Covid, lo è invece in modo drammatico la malnutrizione e fa più morti, soprattutto bambini da 0 a 5 anni, e donne in gravidanza. Non serve la goccia del virus, il vaso è già traboccato ». I dati sono drammatici. «La prolungata siccità è stata la causa principale, poi il conflitto e il collasso economico. Abbiamo una crisi alimentare molto profonda che interessa 19 milioni di persone, quasi la metà della popolazione. Il 50% nella provincia di Zabul, il 40% a Kandahar, il 45% a Kabul. È devastante». La missione di Intersos, iniziata nel 2001, «non si è mai fermata» e si articola su tre progetti: salute, nutrizione, protezione.

Foto Intersos

Operano dei team mobili, che a fine 2022 saranno 22. «Andiamo nei luoghi dove non è presente un presidio collegato al servizio sanitario nazionale, e che hanno delle grandi vulnerabilità». Anche perché, aggiunge Verona, «il sistema sanitario nazionale dalla metà di agosto, dalla partenza degli Usa, ha visto un’interruzione drammatica dei fondi, determinando il rischio chiusura di 2.400 presidi sanitari con conseguenze catastrofiche. Negli ultimi 15 anni il sistema si era evoluto sulle spalle economiche degli Usa. Ha un principio universalistico e questo ha migliorato molto i parametri di mortalità infantile. Ma il rubinetto delle risorse improvvisamente si è chiuso e siamo davanti a un baratro». Proprio per questo le unità mobili operano in supporto ad alcuni servizi di salute come l’ospedale di Qalat dove sosteniamo i reparti maternità e nutrizione.

«L’obiettivo non è di creare un canale parallelo, anche se nelle “zone bianche” non c’è nulla e quindi serve tutto, soprattutto per i due aspetti maggiori di vulnerabilità, essere donna, e madre in particolare, e essere bambino. Abbiamo anche due trauma point dove le persone arrivano dopo conflitti o incidenti nella provincia di Kadahar. Ci sono stati diversi attentati, anche importanti. Rapimenti e sparatorie tutti i giorni. Tanti bambini con problemi alle mani per esplosioni». Verona parla anche dei colleghi afghani. «Molti hanno perso il lavoro durante questi mesi di crisi. Tanti medici eroici continuano a lavorare anche senza stipendio. Il 99% del nostro staff è afghano e siamo molto attenti a mantenere il coinvolgimento delle figure femminili. Avere le colleghe donne è un elemento che ci aiuta, fa la differenza». Alle attività di salute e nutrizione si affianca quella «di protection perché le vulnerabilità sono notevoli, come la violenza di genere o i disabili».

Ma, denuncia Verona, «questa situazione non potrà durare ancora a lungo e si spera che la comunità internazionale si adoperi per ridare sostegno. Ci riguarda tutti da vicino. Il contingente italiano era là. Vogliamo tacere sul dramma che stanno vivendo?». Anche perché «l’altro effetto collaterale della malnutrizione è che devasta il futuro di chi sopravvive. Molti quarantenni mi dicevano, 'io sono nato e cresciuto sempre nella guerra, amo il mio Paese ma non vedo nessuna speranza'. Se continueremo ad accorgerci delle cose solo quando la situazione è critica, sebbene vada avanti da 40 anni, toglieremo il futuro a delle persone che già l’hanno molto precario e l’unica possibilità sarà andare altrove».