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L'inferno sui social. Torture e riscatti, gli sos via web dalla Libia

Paolo Lambruschi domenica 10 febbraio 2019

Migranti trattenuti in condizioni di schiavi nei centri di detenzione libici (Ansa)

Rapiti dalla polizia libica che minaccia i sequestrati di trasferimento nel lager di Bani Walid se i parenti non pagheranno. Ancora una volta il ricatto arriva via social media ai congiunti in Europa e in Israele. L’ennesima odissea di un gruppo di giovani profughi del Corno d’Africa, in maggioranza eritrei, poi somali ed etiopi, comincia il 3 febbraio scorso. I 72 sub sahariani sono appena stati liberati dai trafficanti eritrei che li avevano portati dal Sudan, li avevano rapiti e avevano chiesto riscatti di circa 5.000 dollari. Il gruppo vagava per Tripoli senza sapere dove andare ed è finito in una retata della polizia nel quartiere di Gergarish. Ma le celle di sicurezza sono poche e in 35 vengono inviati nel centro di detenzione di Tagiura mentre altri 10 sono stati liberati, dopo che si sono visti sequestrare dai poliziotti i cellulari e il denaro che avevano. Gli altri 27 vengono rinchiusi nelle celle di sicurezza del comando di polizia di Gergarish che minaccia di deportarli nel peggior inferno libico, stando alle testimonianze di chi ne è uscito e di chi vi è detenuto.

A Bani Walid i prigionieri sono infatti sottoposti alle torture più efferate dalle guardie per odio razziale e religioso e per costringere i parenti a pagare i riscatti. Le foto delle persone minacciate con armi da fuoco o incatenate vengono postate su Facebook. Terrorizzati, gli stessi detenuti di Gergarish si sono messi in contatto con parenti in tutta Europa e in Israele grazie all’unico cellulare che sono riusciti a nascondere.

In Italia la testimonianza è stata raccolta dal gruppo di rifugiati del Coordinamento Eritrea De- mocratica. «Per rilasciarci – hanno detto ai connazionali – le guardie pretendono 500 dollari da ciascuno di noi: se non riusciremo a pagare ci trasferiranno a Bani Walid».

Attraverso Eritrea democratica abbiamo contattato una rifugiata eritrea in Olanda. «Mia cugina ha 17 anni ed è una delle prigioniere. È arrivata in Libia due anni fa, è già stata rapita da trafficanti eritrei e ho pagato 5.000 dollari per liberarla. Ora non riesco a trovare 500 dollari perché in Olanda studio e non so come fare», spiega Lydia, nome di fantasia. Le guardie libiche stanno premendo e minacciano di vendere ai boia di Bani Walid quello che considerano un carico di merce. Cui il 7 febbraio è stato aggiunto un altro gruppo di una trentina di sub sahariani che vagava nella capitale. Che il mercato della carne in Libia si svolga ormai senza pudore sui social media è stato confermato anche dal britannico Time in un articolo del 5 febbraio che utilizza foto mostrata anche da Avvenire il 26 gennaio scorso. Intanto da Khartoum arriva la conferma dai profughi che i trafficanti sub sahariani stanno offrendo formule nuove di pagamento differenziato ai giovanissimi eritrei, somali, etiopi e sudanesi che vorrebbero arrivare in Ue attraverso la Libia. Il viaggio all’inferno iniza cosi, poi arrivano le immagini raggelanti dei ragazzi e delle ragazze incatenati.