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Il dramma. 18enne si toglie la vita a Torino. Si indaga su bullismo e omofobia

A.Ma. lunedì 28 giugno 2021

Il tratto di ferrovia tra le stazioni Moncalieri e Lingotto dove domenica 20 giugno un 18enne si è suicidato gettandosi sotto un treno

Un minuto di silenzio in Consiglio comunale: così è stato ricordato oggi a Torino, la sua città. Orlando Merenda aveva appena 18 anni e il 20 giugno si è gettato sotto un treno tra la stazione di Torino-Lingotto e Moncalieri. «All’orizzonte – ha detto il presidente del Consiglio comunale, Francesco Sicari – vi è lo spettro del bullismo anche di natura omofoba». Lo "spettro", non una certezza, nonostante in molti abbiano voluto già fare del povero Orlando un emblema degli orrori dell’omofobia e delle discriminazioni contro le persone omosessuali. La procura di Torino ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio, al momento senza indagati, per stabilire se davvero il giovane sia stato vittima dell’odio. Domenica scorsa Orlando, che frequentava un istituto professionale per diventare barman o cameriere, ha pranzato col padre e con il fratello prima di uscire di casa. «Ci vediamo tra poco», le ultime parole del giovane che, invece, non è più tornato. Ha scavalcato il muretto che divide la ferrovia dalla strada e si è gettato sotto un treno. Non è stato ritrovato nessun biglietto.

Gli investigatori della polizia ferroviaria, su ordine del pm Antonella Barbera, nei giorni scorsi hanno parlato con gli insegnanti, con i compagni di classe e con gli amici, per capire se c’è stata pressione sul giovane, se era entrato nel mirino di qualche odiatore. Sono stati acquisiti anche i messaggi sul suo profilo Instagram, ora invaso dalle parole di cordoglio. Tra i tanti messaggi di pietà e compassione, c’è anche l’atroce e inqualificabile insulto di chi augura «la morte ai gay».

Il sospetto della famiglia, e in particolare della madre Anna Screnci, che vive in Calabria e ha rilasciato interviste a diversi quotidiani, è che Orlando non abbia sopportato sguardi di troppo e battute. «Il problema delle menti chiuse e che hanno la bocca aperta», scriveva peraltro il giovane lo scorso marzo, quasi a lasciare intendere che nei suoi confronti erano stati espressi giudizi difficili da accettare. «Con il giudizio della gente io ci faccio meravigliosi coriandoli», gli aveva risposto un’amica.

La parola passa ora agli inquirenti, chiamati a rispondere a un "perché" pesante come un macigno. «Giù da bambino era stato vittima dei bulli – ha ricordato la madre –. Non mi raccontava tutto, ma sentivo negli ultimi giorni che c’era qualcosa che non andava. Penso non abbia retto alle offese... ». Un’ipotesi atroce, su cui è necessario più che mai fare chiarezza.

Il gesto estremo del 18enne si è consumato la domenica precedente a quella in cui in diverse città d’Italia, da Roma ad Ancona, da Faenza a Martina Franca, si sono svolte le tradizionali parate del Gay Pride. Non senza eccessi rappresentativi: ha creato sconcerto e disapprovazione, ad esempio, un uomo che, reggendo una Croce, voleva impersonare un Gesù Cristo con i tacchi a spillo e minigonna: visto a Milano, le sue fotografie sono abbondantemente circolate sui social, così come gli slogan contro il Vaticano, "reo" di aver legittimamente espresso, nei giorni scorsi, le sue osservazioni su alcuni passaggi del testo del ddl Zan contro l’omofobia e la transfobia. Il leader del Family Day, Massimo Gandolfini, ha segnalato inoltre che «a Bologna una sua foto è stata calpestata e imbrattata con vernice rosa».

Arcigay Milano, peraltro, ha segnalato che domenica sera due ragazzi sono stati aggrediti nel centro del capoluogo lombardo. Uno dei ragazzi è uscito dall’ospedale «con un trauma cranico e la faccia tumefatta, l’altro con la mano rotta in quattro punti. Ora sporgeranno denuncia». Altre aggressioni a sfondo omofobo sono avvenute fra venerdì e sabato contro un 24enne, e contro un minorenne che stava per raggiungere il Pride. Episodi gravissimi, che in molti hanno voluto portare come prova della necessità di una rapida approvazione del ddl Zan contro l’omofobia. La polizia indaga per scoprire i responsabili di reati che in ogni caso vengono già perseguiti (comprese le eventuali aggravanti) con le leggi vigenti.