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Lavoro. Thyssen, la "colpa imponente" dei manager

Diego Motta lunedì 12 dicembre 2016

I manager condannati per il caso Thyssen "avevano maturato", secondo la Cassazione, "la consapevolezza del tragico evento prima che ebbe a realizzarsi". Le motivazioni depositate dalla Suprema Corte sulla condanna che il 13 maggio scorso aveva riguardato sei dirigenti della multinazionale tedesca per il rogo in cui morirono sette operai, ricostruiscono se possibile uno scenario ancora più cupo su quanto accadde la notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007.

Ai vertici del gruppo va dunque attribuita una "colpa imponente". Per quel che sapevano, verosimilmente, rispetto al quadro di omissioni e mancati controlli sulla situazione della fabbrica di Torino e poi per "la imponente serie di inosservanze a specifiche disposizioni infortunistiche di carattere primario e secondario, non ultima la disposizione del piano di sicurezza che impegnava gli stessi lavoratori in prima battuta a fronteggiare gli inneschi di incendio". I mezzi di spegnimento a loro disposizione, infatti, erano "ritenuti inadeguati".

In particolare, i giudici della Cassazione confermano le responsabilità dell'amministratore delegato di Thyssen, Harald Espenhahn, "massimo autore delle violazioni antinfortunistiche che hanno causato gli eventi di incendio e morte. Intorno a lui si muovono gli altri imputati". La vicenda della fabbrica di Torino aveva rappresentato un punto di rottura nel dibattito sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, perché ad essere colpita fu una città simbolo delle relazioni industriali e perché sin da subito la mobilitazione di familiari e parenti delle vittime aveva colpito l'intera comunità nazionale.

"Giustizia è fatta", avevano commentato a maggio i rappresentanti degli operai morti nel rogo. "Questa sentenza è la dimostrazione che la giustizia non è un sogno" ha aggiunto oggi l'ex pm Raffaele Guariniello. "Alle comunità colpite da questi drammi dico di non disperare, non demordere e continuare ad avere fiducia" ha aggiunto.