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Terre avvelenate, sei arresti in Basilicata

venerdì 1 aprile 2016
Il procuratore Roberti: questa è criminalità organizzata su basi imprenditoriali ROMA Poche parole. Drammatiche. «Dispiace rilevare che, per risparmiare denaro, ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini», dice il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Riferendosi alla Basilicata, dove i capi dell’Eni sapevano, non solo, «qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita» come «non pericolosi» i rifiuti pericolosi (derivanti anche dall’attività estrattiva), trattandoli in modo «non adeguato» ma «notevolmente più economico», e inviando ai controlli «dati non corrispondenti al vero». Com’è stato scritto nelle ordinanze relative alle inchieste dei pm di Potenza, Basentini e Triassi, e della pm della Dna, Pugliese, sullo smaltimento dei rifiuti e sulle emissioni del 'Centro Oli' di Viggiano, nel potentino. Dopo le indagini, riguardanti anche l’inchiesta su 'Tempa Rossa', che hanno portato ieri a 6 misure cautelari e 60 indagati tra pubblici amministratori e imprenditori. Fra i reati ipotizzati c’è l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, a carico di funzionari e dipendenti Eni (come produttore del rifiuto) e altri soggetti coinvolti nel traffico, cioè intermediari e trasportatori, ma anche impianti di smaltimento nelle province di Matera, Foggia, Reggio Calabria, Cosenza, Bat e Ascoli, nonché l’attività di miscelazione di rifiuti speciali, anche pericolosi, non autorizzata per funzionari Eni. Il meccanismo contestato dalla magistratura è quello già incontrato in tante inchieste: rifiuti liquidi diversi venivano miscelati e poi caratterizzati dal gestore dell’impianto con codici Cer (Codice europeo rifiuto) diversi da quelli che avrebbero dovuto avere, col risultato di venire smaltiti in impianti che non avrebbero potuto. Ancora il capo della Dna, Roberti: «Oggi è riduttivo parlare di un reato di ecomafie perché qui non vi sono i tradizionali mafiosi con le coppole, ma criminalità organizzata su basi imprenditoriali». Così sono agli arresti domiciliari Rosaria Vicino, ex sindaco Pd di Corleto Perticara, Vincenzo Lisandrelli (coordinatore ambiente del reparto sicurezza e salute all’Eni di Viggiano), Roberta Angelini (responsabile Sicurezza e salute dell’Eni a Viggiano), Nicola Allegro (responsabile operativo del 'Centro Oli' di Viggiano), Luca Bagatti (responsabile della produzione del distretto meridionale di Eni) e Antonio Cirelli (dipendente Eni nel comparto ambiente). Il gip ha deciso anche il divieto di dimora per Salvatore Lambiase, dirigente della Regione Basilicata, e Giambattista Genovese, all’epoca dei fatti vicesindaco di Corleto Perticara. Dalle intercettazioni vengono fuori omissioni e manomissioni tecniche per non «allarmare i controllori » ed evitare verifiche e rallentamenti di produzione. Risultava così «decisamente più conveniente per l’Eni utilizzare la procedura di reiniezione, per la quale veniva sfruttata una condotta che dal Centro portava i reflui fino al pozzo», nella quale «i liquidi venivano pompati a bassissima profondità» con una procedura «non ammessa per la presenza di sostanze pericolose» ed episodi di «altera- zione dei campioni delle acque di reiniezione per l’abbattimento dei valori degli idrocarburi». Morale, secondo i pm, i «risparmi» ottenuti vanno calcolati, annualmente, tra 44 e 110 milioni di euro. (Il videoreportage sulle estrazioni in Basilicata, 'Colorata da petrolio e gas', è visibile sul sito www.avvenire.it e sul nostro canale Youtube) Pino Ciociola © RIPRODUZIONE RISERVATA