Attualità

Campania. Terra dei fuochi, quei tumori sottostimati tra i bambini

Pino Ciociola giovedì 25 maggio 2017

Uno scatto di Mauro Pagnano

Viene in mente il gioco delle tre carte. Il tasso d'incidenza dei tumori infantili nella Terra dei fuochi sarebbe lo stesso del resto d’Italia, almeno secondo il “Registro tumori infantili” campano che riprende i dati (2008-2012) dell'ospedale pediatrico “Santobono Pausilipon” di Napoli, presentati dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. E con tale soddisfazione da dire «mi auguro che si faccia meno gossip e si dia più spazio a iniziative come queste».

Purtroppo non è proprio così. Anzi. I dati del Santobono (non suffragati da alcuna pubblicazione scientifica) sono sconfessati dalla pubblicazione fresca di pochi giorni sull’”International journal environmental research public healt” di un lavoro realizzato da alcuni accademici, attraverso il quale viene fuori che i casi certificati di malattie oncologiche in età pediatrica sono circa tremila, sarebbe a dire più o meno duemila in più rispetto a quelli citati dalle istituzioni campane.

IL DOSSIER SULLA TERRA DEI FUOCHI

Ma in realtà questo lavoro è solo l’ennesima conferma, basta tornare indietro negli anni per nutrire il serio dubbio che il gossip siano altri a farlo. Perché in principio furono i dati del Pascale rivelati da Avvenire il 19 luglio 2012: negli ultimi venti anni «in provincia di Napoli (città esclusa, ndr) si sono avuti incrementi percentuali del tasso di mortalità per tumori del 47% fra gli uomini e del 40% tra le donne, incrementi che sono stati rispettivamente del 28,4% e del 32,7% anche in provincia di Caserta». Mentre in Italia, negli stessi ultimi venti anni, «i tassi sono viceversa rimasti tendenzialmente stabili» e «al Nord sono addirittura diminuiti». Annotava meticolosamente lo studio sui Comuni campani dall’Istituto nazionale per i tumori “Pascale” di Napoli, realizzato per «verificare e valutare il fenomeno» attraverso le “schede di morte individuale con diagnosi di tumore”.

Anche la connessione fra rifiuti tossici e impennata della mortalità era già nero su bianco: «Questo eccesso di mortalità, che riguarda anche altre patologie cronico-degenerative – sottolineava infatti l’Istituto –, si configura come un grave problema sociale e ambientale, oltre che sanitario, di vasta dimensione e notevole gravità», tanto che «richiederebbe maggiore attenzione da parte delle istituzioni».

Due anni dopo, il 14 aprile 2014, a usare parole forti fu l’allora direttore proprio dell’Istituto Pascale, Tonino Pedicini: «La cosa peggiore che si possa sentir dire una persona che si è ammalata di cancro è sentirsi rimproverare di esserselo preso per colpa sua e dei suoi stili di vita», spiegò. E questi stili di vita ci saranno pure, «ma rispetto all’ambiente in cui si vive nella Terra dei fuochi, rappresentano quasi un Eden». Morale, secondo Pedicini? «Una parte della comunità scientifica – disse - ha sposato un atteggiamento negazionista che nulla ha di scientifico, ma è solo volontà di quieto vivere».

Ma andiamo avanti di quasi altri due anni e arriviamo al 2 gennaio 2016. Quando, non fosse bastato il pregresso, proprio la situazione dei più piccoli veniva ulteriormente certificata. Nella Terra dei fuochi si muore di più anche per «l’esposizione a un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani», scriveva l’Istituto superiore di Sanità nel suo volume Mortalità, ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei fuochi in Campania, che aggiornava al 2014 la precedente ricerca riguardante il profilo di salute nella Campania, dopo avere preso in esame la situazione epidemiologica nei 55 comuni delle province di Napoli e Caserta definiti, appunto, dalla legge del giugno 2014 come “Terra dei fuochi”. Risultato? «Il quadro epidemiologico della popolazione residente studiata» risulta caratterizzato «da una serie di eccessi della mortalità e dell’ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale».

Malattie che, appunto, «ammettono, fra i loro fattori di rischio accertati o sospetti, l’esposizione a un insieme di inquinanti
ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani». Fra l’altro, la situazione ambientale da queste parti «è peculiare e complessa – sottolineava l’Iss - data la presenza di diversi sorgenti di contaminazione ambientale, e la mancanza di una specifica caratterizzazione sistematica delle diverse matrici».

Come prevedibile – e da tempo veniva registrato – le preoccupazioni più grandi riguardano i più piccoli. A proposito della salute
infantile – si leggeva nel documento dell’Istituto – «è emerso un quadro di criticità meritevole di attenzione». In particolare «si sono rilevati eccessi nel numero di bambini ricoverati nel primo anno di vita per tutti i tumori, e, in entrambe le province, eccessi di tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nella fascia di età 0-14 anni». Ecco perché l’Istituto superiore di Sanità sottolinea come «i bambini e gli adolescenti debbano essere oggetto di tutela rispetto ai rischi ambientali per la salute, accertati o sospettati, sulla base di un approccio precauzionale».

Ultima annotazione. Anche i “Medici per l’ambiente” (Isde) sono saltati dalla sedia appena hanno sentito i dati diffusi dal governatore De Luca: «In questa regione nel decennio 1993-2012 le malattie oncologiche pediatriche sono cresciute a velocità doppia rispetto all’andamento del Paese. E così «lo studio del Santobono non smentisce alcun allarme».