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Medicina. Così la terapia genica blocca le metastasi al fegato

Vito Salinaro giovedì 19 ottobre 2023

Il team di ricerca dell'Istituto San Raffaele-Telethon

Molto spesso le cellule di un tumore maligno, se non eliminate in tempo, tendono a “migrare”, aggredendo anche altri organi. Un approdo frequente di questo processo è il fegato. Il cancro diviene quindi metastatico e molto più difficile da trattare anche per i farmaci più innovativi, immunoterapia compresa. Questo perché le terapie vengono arginate da un “microambiente” che annulla le risposte immunitarie e, anzi, attiva una serie di meccanismi pro-tumorali. Contro questo scudo protettivo del cancro i ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (Sr-Tiget) di Milano, hanno opposto – al momento in modelli sperimentali - una innovativa terapia genica che ingegnerizza “in vivo” alcune cellule immunitarie del fegato (i macrofagi epatici) per riattivarne le risposte. Così facendo, il microambiente tumorale smette di essere un ostacolo insormontabile per le terapie, lasciando campo libero alla risposta antitumorale. La conseguenza pratica, di grande rilievo scientifico, è l’inibizione della crescita delle metastasi. In altri termini, sono stati risvegliati specifici "soldati" del sistema immunitario, i linfociti T (che riconoscono e uccidono le cellule tumorali), istruendoli a dovere, e riattivandone le capacità di combattere, consentendo loro di entrare in azione per eliminare le metastasi.

I risultati dello studio italiano - coordinato dal direttore del Sr-Tiget e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele, Luigi Naldini, e dal project leader dell’unità Targeted cancer gene therapy, Mario Leonardo Squadrito -, appena pubblicati sulla rivista Cancer Cell, gettano le basi per un futuro sviluppo clinico di una nuova strategia per i pazienti affetti da metastasi epatiche. La ricerca (primi firmatari sono Thomas Kerzel e Giovanna Giacca) è stata sostenuta principalmente dal programma “5 per mille” di Fondazione Airc e dalla Fondazione regionale per la ricerca biomedica.

Le metastasi epatiche

La presenza di metastasi epatiche si deve in molti casi a tumori gastrointestinali, come quelli del colon-retto e del pancreas. Visti gli scarsi risultati delle terapie farmacologiche, l’opzione più utilizzata è la resezione chirurgica, che però non è applicabile a tutti i pazienti e non di rado ottiene un successo parziale. «Da alcuni anni – spiega Luigi Naldini - ci stiamo concentrando sull’utilizzo di tecniche di terapia genica anche in ambito oncologico, e questo studio è un nuovo esempio del nostro impegno. L’obiettivo è rispondere al bisogno insoddisfatto di quei pazienti affetti da metastasi epatiche ormai inoperabili per cui ad oggi non sono disponibili trattamenti curativi».

La strategia di cura

I macrofagi del fegato, su cui si sono concentrati i ricercatori del San Raffaele, hanno un ruolo importante nel regolare le risposte immunitarie. Se da un lato, evidenziano dall’ospedale milanese, «contribuiscono a difenderci dalle infezioni, dall’altro lato, quando sono attirati in prossimità di un tumore, possono invece sopprimere le altre cellule immunitarie e favorire la crescita neoplastica». Adesso «possiamo somministrare i vettori direttamente in vivo, con una singola infusione endovenosa – afferma Mario Leonardo Squadrito -, così da raggiungere selettivamente i macrofagi del fegato ed in particolare quelli attirati nelle metastasi».

Grazie a un microambiente più permissivo, instaurato in seguito all’ingegnerizzazione dei macrofagi, l’immunoterapia ha dimostrato «un alto successo terapeutico in topi di laboratorio» con metastasi epatiche derivate da cancro al colon e al pancreas. Il prossimo passo, assicurano i ricercatori italiani, già all'opera, sarà quello di determinare sicurezza e compatibilità di questi progressi negli esseri umani.