Attualità

Dopo il voto . Tav o No Tav, il dilemma per Appendino

Paolo Viana mercoledì 22 giugno 2016
Il buongiorno gliel’ha dato la procura: la 'retata' di ieri tra i No Tav - venti misure cautelari tra cui una decina di arresti per gli assalti al cantiere di Chiomonte il 28 giugno del 2015 - costringe Chiara Appendino a prendere atto che l’alta velocità in Valle di Susa è uno spartiacque politico. Il Sistema Torino, come chiamano la rete di poteri più o meno forti che ha governato la capitale industriale del Paese e che ne continua a gestire la trasformazione in una moderna metropoli della cultura e della ricerca, deciderà se 'collaborare' o meno con il nuovo sindaco in base a quanto lei si distinguerà dagli 'estremisti' della valle di Susa. L’Appendino se ne rende talmente conto che quando si parla di alta velocità ottunde, smorza, abbassa i toni. Ad esempio, appena diffusa la notizia degli arresti, si è trincerata dietro il galateo istituzionale - «non è compito di un Sindaco commentare l’operato della magistratura» -, limitandosi a collegare il clima di tensione «alla mancanza di risposte politiche che noi speriamo di potere colmare, riportando al centro del dibattito le legittime ragioni del no all’opera». Negli stessi minuti, un parlamentare pentastellato che si è fatto le ossa tra Venaus e Mompantero, il senatore Marco Scibona da Bussoleno usava invece queste parole: «in democrazia la legge è uguale per tutti, ma non alla procura di Torino, dove i Procuratori che seguono le vicende legate al Tav sono forti con i deboli e deboli con i forti». Va detto che lo scontro in atto non appassiona tutti allo stesso modo. Marchionne, ad esempio, ieri ci ha tenuto a far sapere di «non credere» che cambierà qualcosa nei rapporti tra Fca e Comune con l’arrivo dei Cinque Stelle. Sempre ieri, l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, presentando la lettera pastorale, ha detto che spiegherà alla sindaca il suo punto di vista su povertà e periferie e ha insistito soprattutto sull’astensionismo, definendolo «molto pericoloso». Anche se la Tav non esaurisce i problemi dei torinesi resta comunque il terreno privilegiato dello scontro per la politica e per quell’economia che vive di appalti e progetti di sviluppo territoriale. Non casualmente, l’Unione industriale di Torino, il 15 giugno, cioè quando i giochi elettorali erano ormai fatti, ha emesso una nota in cui ricorda che «per il bene della Città è pertanto indispensabile che, per gli anni a venire, essa venga amministrata sulla base di una visione di lungo termine. Ed è indispensabile che in questo quadro siano realizzati tutti gli sforzi possibili per realizzare le opere infrastrutturali, a partire dalla Tav, in grado di rendere il nostro territorio adeguato alle esigenze di mobilità e di trasporto dell’industria... » Poteva sembrare la classica azione di 'soccorso' al compagno Piero, in realtà era un (lungo) promemoria per chiunque avesse vinto e soprattutto per la figlia 'neofita' di Domenico Appendino, che, guarda caso, è il più stretto collaboratore dell’ex presidente dell’Unione, nonché presidente di Confindustria Piemonte, Gianfranco Carbonato. In altre parole, è sulla Tav che la Torino-che-conta misurerà la coerenza tra i messaggi lanciati dai Cinque Stelle in campagna elettorale e la loro reale evoluzione in una moderna forza di governo, iniziata proprio con la scelta della candidata, una giovane di buoni studi e ottima famiglia, tacco basso e solo un filo di trucco. Tutti si aspettano delle scelte, che saranno decisive, e non solo per la città metropolitana di Torino. Quando Fassino pungola l’avversaria - «sulla Tav Appendino non può cavarsela dicendo che decidono altri» e «deve spiegare a quelli che sventolavano l’altra sera le bandiere no-Tav sotto al Comune che lei non la può fermare», oltre ad accusare il Movimento di avere fatto delle vere e proprie 'liste di proscrizione' dei dirigenti da promuovere o da estromettere - non ci pare tanto il trombato che sputa fiele, quanto il portavoce di un sistema politico ed economico che sta studiando l’'ufo' a Cinque stelle. Che questa sia la sfida lo dimostrano del resto le reazioni dei comitati No Tav, che in queste ore appaiono molto preoccupati di non riuscire a mettere il cappello sulla nuova amministrazione e paralizzare l’opera per (almeno) cinque anni. «Un tempismo quanto mai sospetto, appena terminate le elezioni di Torino» è stato infatti il loro commento agli arresti, mentre il giorno prima Alberto Perino, leader storico dei comitati della valle di Susa, aveva trattato l’elezione della sindaca M5S con sufficienza, dicendo che «non esistono governi amici». Il senatore Scibona ammette che «il movimento No Tav è variegato» e che comunque il M5S sarà coerente con la battaglia di questi anni contro l’opera.  «Oggi governiamo la città metropolitana - spiega - e, anche se con modalità diverse da quelle di un corteo in valle, intendiamo usare tutti gli strumenti leciti per mettere tanti granellini di sabbia negli ingranaggi amministrativi e bloccare il Tav». In campagna elettorale, l’Appendino aveva dichiarato sia che era contraria all’opera, sia che un sindaco da solo non può bloccarla. Era la linea condivisa con Beppe Grillo, forse strumentale a conquistare il palazzo di Città, ma vincente: anche a Torino il movimento ha giocato tutte le sue carte per tranquillizzare (al primo turno) e conquistare (al secondo) l’elettorato moderato e ha scelto Appendino perché si presenta come il volto di una rivoluzione 'educata' del ceto medio tartassato dalla crisi. Una posizione diversa da quella dei movimenti di protesta greci e spagnoli, ma anche da quella dei centri sociali torinesi. È dunque inevitabile che la 'secchiona' bocconiana si trovi al centro di forti pressioni, interne ed esterne al movimento, in attesa di sapere se l’Av sarà la Bad Godesberg dei grillini.