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Governo. Sulle donne i conti non tornano. «Così spariscono i temi della parità»

Antonella Mariani sabato 2 giugno 2018

Foto di gruppo del nuovo governo

Qualcuno l’ha detto, altri l’hanno solo pensato. I più hanno abbozzato, come si fa con le cose che appaiono stonate ma tutto sommato innocue. Eppure i conti non tornano. Su 18 ministri nel nuovo governo giallo-verde (20 se si considerano anche il premier e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio), solo 5 sono donne.

Due le ministre con portafoglio – Salute e Difesa –, le altre (Sud, Pubblica amministrazione e Affari regionali) si devono accontentare della borsa... vuota. Non occorre essere sostenitori delle quote rose per capire che la rappresentanza femminile (un quarto di governo a fronte del 50 per cento della popolazione) risulta decisamente insufficiente. Un dato contraddittorio, tra l’altro, rispetto al numero record di donne portate in Parlamento dai 5 Stelle, oltre il 40% degli eletti contro una media del 34% (il centrodestra nel suo complesso si è fermato al 31%).

Ma c’era da aspettarselo: nel dibattito seguito alle elezioni e poi ancora nel contratto di governo gialloverde (elaborato da soli uomini con la timida eccezione di Laura Castelli per il M5S), le tematiche della parità sono state inesistenti. Il governo Renzi era partito con 8 uomini e altrettante donne.

E in effetti sono stati soprattutto parlamentari del centrosinistra ad avanzare, ieri, alcune obiezioni sulla scarsità di ministre, da Emanuele Fiano a Laura Garavini (Pd) fino a Federico Fornaro (Liberi e Uguali).


Ma nessuno, a guardar bene, ha le carte in regola. In casa Pd, ad esempio, nelle scorse elezioni l’escamotage di piazzare le ministre in più collegi (le pluricandidature) per rispettare la clausola di genere, salvo poi fare posto ai secondi eletti (uomini) ha sollevato un mare di proteste e portato in Parlamento appena il 20% di donne sul totale degli eletti. Per non parlare della lunga trafila delle consultazioni postelettorali con il Quirinale, dove nelle delegazioni di Pd e Liberi e Uguali c’erano solo uomini. Ma torniamo al nuovo governo.

L’Italia sembra arretrare, e il confronto con la vicina Francia è impietoso: oltralpe le ministre sono 11 su 18. È vero che in Germania sono 6 su 15 e nel Regno Unito appena 5 su 23, ma almeno lì a governare sono Angela Merkel e Theresa May. In Italia invece «le donne rimangono un corpo estraneo nei partiti», ammette Marina Terragni, giornalista e scrittrice femminista. E aggiunge, amara (e molto arrabbiata). «Abbiamo tentato di entrarci ma non ci siamo riuscite. E intanto nel 2016 ben 30mila donne sono state espulse dal mondo del lavoro dopo essere diventate madri».

Sulla stessa linea Francesca Izzo, ex parlamentare Pd e cofondatrice del movimento femminista Se non ora quando-Libere. La composizione del governo? Un arretramento. Ma frutto anche dell’incapacità delle tante donne parlamentari, in questi anni, di farsi davvero carico delle esigenze femminili, di trasferire, per così dire, le loro battaglie – che pure ci sono state, ad esempio sul fronte della violenza di genere – alla vita quotidiana delle donne. Vengono in mente le parole di Alessandra Bocchetti, femminista pure lei e fondatrice del centro Virginia Wolf, che alla vigilia delle elezioni del 5 marzo scriveva: «Perché noi donne ci facciamo da parte?

Perché siamo così remissive, così ubbidienti, così ininfluenti, così silenziose (...)? Sempre a parlare di diritti, per poi dimenticarsi i propri». Peccato, perché come osserva la notista politica Flavia Perina, «larga parte dei principali partiti non ha ancora capito che nella gigantesca crescita delle diseguaglianze in Italia, oltre alla questione Nord-Sud, c’è anche quella femminile».