Attualità

Il caso. Spot al gender, ma quanto ci costa?

Lucia Bellaspiga giovedì 20 febbraio 2014
«Ora che il Dipartimento per le Pari Op­portunità e il ministero dell’Istruzione hanno sconfessato i tre volumetti intito­lati 'Educare alla diversità a scuola' destinati ai bam­bini delle elementari e delle medie e ai ragazzi delle superiori per diffondere l’ideologia del gender – ma­teriale mai approvato e addirittura mai conosciuto dagli organi competenti a darne autorizzazione – ci rivolgiamo alla Corte dei Conti per sapere quanto è costato al cittadino tutto questo». Parla chiaro l’e­sposto presentato dall’associazione Giuristi per la Vi­ta alla procura regionale presso la Corte dei Conti del Lazio, a firma del suo presidente Gianfranco Amato. A prendere le distanze su Avvenire dalle cosiddette 'Linee guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze' (in realtà un vero pron­tuario per 'instillare', come dice letteralmente il te­sto, nei giovanissimi una mentalità contro la religio­ne e la famiglia), sono stati il viceministro Maria Ce­cilia Guerra (Pari Opportunità) e il sottosegretario Gabriele Toccafondi (Istruzione), che hanno critica­to sia l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, organismo proprio delle Pari Opportunità) sia l’Istituto Beck (estensore della ricerca). «Ora chie­diamo a quanto ammonti il danno erariale», spiega il magistrato Francesco Agnoli, presidente aggiunto onorario della Cassazione, già membro del Csm. Le scuole cadono a pezzi. Eppure... Eppure solo per la consulenza dell’Istituto Beck, tra l’altro totalmente di parte e nel cui sito sono ripor­tati pesanti giudizi sulla religione cattolica e sul ruo­lo educativo della Chiesa, lo Stato ha speso 24mila eu­ro. Ricordo che i nostri ragazzi a scuola si devono portare anche la carta igienica per mancanza di fon­di, questo esposto lo dovevamo alle famiglie italia­ne. La Costituzione garantisce il diritto ai genitori di educare i propri figli secondo i valori di riferimento, non è lecito imporre un’educazione di Stato. I tre libelli dedicati alle scuole sono solo la punta del­l’iceberg, però. Sono l’ultimo episodio della saga Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender), partita l’anno scorso con un documento firmato Unar e Dipartimento Pari Opportunità, intitolato ' Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni ba­sate sull’orientamento sessuale...'. In realtà si tratta di una pesante forma di repressione attivata in quat­tro settori della società: la scuola, il lavoro, le carce­ri, i media. Un disegno pervasivo innervato in tutti i gangli per distruggere la famiglia e far passare l’i­deologia del gender: come ai bambini si insegna che maschio e femmina non esistono e che la famiglia padre-madre è un’invenzione pubblicitaria, così nel mondo del lavoro si parla di 'pratiche del diversity management', 'benefit specifici' solo per persone Lgbt, certificazione speciale per 'aziende gay friendly' e 'borse lavoro e accesso al credito agevo­lato per i giovani gay'... Privilegi per Lgbt anche nel­le carceri: scontata la pena, 'interventi di sostegno per l’accesso al lavoro' solo per Lgbt. Per tutte que­ste discriminazioni, i Giuristi per la Vita hanno no­tificato una diffida già nel dicembre 2013 al Dipar­timento Pari Opportunità, al Miur, all’Unar e alle centinaia di uffici scolastici provinciali e regionali d’Italia... Ora scopriamo che il governo non sapeva nulla e si dissocia dagli opuscoli scolastici e questo è un bene, ma parli chiaro: sconfessa anche la peri­colosissima Strategia Nazionale da cui tutto questo deriva o la sostiene? È in questa cornice che trovano humus derive di o­gni genere... Il Servizio Lgbt del Comune di Torino ha potuto pre­disporre un ampio apparato didattico per le scuole superiori: non solo vi si propaganda agli adolescen­ti un 'diritto' al riconoscimento delle unioni omo­sessuali, quindi contro le leggi vigenti, ma ci si ad­dentra in letture deliranti delle Sacre Scritture, con Ge­sù e San Paolo contrapposti...