Attualità

L'inchiesta. Sogno di una scuola d'estate

Paolo Ferrario venerdì 13 giugno 2014
Una «buona idea» ma «difficilmente praticabile» perché pensata per una  scuola ancora troppo «ingessata». La proposta di tenere aperte le scuole anche a luglio per attività di recupero o corsi di lingua italiana per studenti stranieri, lanciata da Avvenire  il 4 giugno, incontra l’attenzione degli addetti ai lavori (insegnanti e dirigenti), che però ricordano tutti gli ostacoli (burocratici e contrattuali) ancora da superare per la sua attuazione.«La proposta pone un problema reale – dice Fabrizio Foschi, presidente di Diesse, associazione professionale di insegnanti – ma deve riguardare non soltanto i docenti, bensì i loro datori di lavoro: lo Stato, il Ministero, l’Aran, i sindacati. Sono questi che hanno stipulato un patto implicito con la categoria consistente nel semplicistico assunto: paga bassa, ferie lunghe, funzione impiegatizia priva delle pur minime caratteristiche di una carriera professionale».  Per Foschi, l’apertura estiva delle scuole sarebbe facilitata se l’insegnante fosse inquadrato con un diverso status giuridico. «Se l’insegnante fosse un libero professionista, magari reclutato dalla propria scuola o da una rete di scuole autonome – esemplifica il presidente di Diesse – potrebbe ritagliarsi orario e compiti sulla base della domanda educativa e formativa degli alunni». In Italia non è così e, quindi: «Teniamoci un profilo giuridico rigido che appiattisce verso il basso, anziché disegnare finalmente un percorso professionale che valorizzi il lavoro (anche valutandolo) di chi desidera assumersi delle responsabilità ».  Anche per il presidente dell’Associazione maestri cattolici (Aimc), Giuseppe Desideri, la proposta è «ottima» ma si scontra con «problemi di organizzazione» dovuti soprattutto alla «scarsità di organico». Sotto questo profilo, Desideri auspica un «innesto di forze fresche», che porterebbero nella scuola «una nuova energia». «Maestri e professori – dice il presidente dell’Aimc – compiono già uno sforzo notevole durante tutto l’anno, che non è adeguatamente riconosciuto. Basta andare a vedere gli stipendi per rendersi conto di quanto poco sia considerato il nostro lavoro. Ciò nonostante, già oggi ci sono realtà dove la scuola “aperta per ferie” esiste e funziona ma, nella maggior parte dei casi, è affidata all’adesione volontaristica dei colleghi. Com’è di tutta evidenza, la buona volontà non basta e, se si vuole estendere a tutto il territorio nazionale queste esperienze, sono necessarie nuove risorse, sia umane che economiche».   Gli «aspetti pratici» di ordine  burocratico-contrattuale, sono l’ostacolo maggiore per la «fattibililità » della proposta di Avvenire, anche secondo Ezio Delfino, presidente dell’associazione professionale di dirigenti Disal. «Non tutte le scuole – ricorda – hanno il personale necessario per tenere aperte anche a luglio e, per contratto, tutto ciò che va oltre le 18 ore settimanali previste per gli insegnanti, deve essere contrattato mettendo sul tavolo risorse aggiuntive che gli istituti non hanno». Secondo Delfino, occorrerebbero «flessibilità » (contrattuali e normative) che oggi la scuola non ha, legata com’è a «vincoli giuridici » che, come in questo caso, finiscono per impedirne lo sviluppo. «Il sistema scuola è pensato in maniera antica», conclude il presidente di Disal. «Gradualità e misura» sono, infine, le modalità indicate dal presidente dell’Associazione nazionale presidi, Giorgio Rembado, per cominciare a far entrare nel mondo della scuola questa proposta. «Come tutte le novità – spiega – potrà incontrare resistenze ma, se adeguatamente motivata, saprà riscuotere l’interesse di tanti. Il progetto è apprezzabile – prosegue Rembado – e va nella giusta direzione, quella cioè di una scuola aperta e i cui servizi sono disponibili tutto l’anno». Sul piano della fattibilità, anche Rembado ricorda i vincoli posti da leggi e contratti, ma sottolinea la possibilità, per i dirigenti, di «inserire questi nuovi servizi nella programmazione didattica dell’istituto», dopo aver acquisito il «preventivo consenso dei docenti». Una strada, quindi, c’è. Cominciamo a percorrerla.