Attualità

Mediterraneo. Soccorsi in mare, bloccata la nave di Banksy. A Lampedusa ancora arrivi

I.Sol. lunedì 27 marzo 2023

La nave Louise Michel dell'omonima Ong, finanziata dall'artista Banksy, è in stato di fermo nel porto di Lampedusa per le violazioni del nuovo decreto

Colpi d’arma da fuoco contro l’equipaggio della Ocean Viking da parte delle milizie libiche, la Guardia costiera italiana che accusa le Ong di essere di intralcio ai soccorsi, e infine la nave di salvataggio, MV Louise Michel, finanziata dall'artista di strada britannico Banksy che è stata bloccata a Lampedusa domenica, dopo che la guardia costiera italiana aveva dichiarato che la barca aveva disobbedito alle sue istruzioni di dirigersi verso la Sicilia dopo aver effettuato un'operazione di salvataggio di naufraghi.

La guardia costiera ha dichiarato di aver ordinato alla Louise Michel di attraccare a Trapani, in Sicilia, dopo aver eseguito una prima operazione di salvataggio nell'area di ricerca e soccorso in Libia. Ma la nave umanitaria è invece andata ad assistere i migranti su altre tre imbarcazioni nell'area Search And Rescue di Malta. A detta sua la Guardia costiera era già in viaggio per assistere le altre tre imbarcazioni in quel momento e dunque aveva ordinato alla Louise Michel di andare in porto in conformità con la nuova legge approvata in Italia quest'anno, il cosiddetto decreto Ong che stabilisce un codice di condotta per le navi umanitaria.
La Guardia costiera ha affermato di voler evitare che la nave prendesse a bordo troppe persone, mettendo così a rischio la loro incolumità.
Ma la Louise Michel, lunga 30 metri, rosa e bianca, che prende il nome da un'anarchica femminista francese, alla fine ha attraccato a Lampedusa solo nella tarda serata di sabato con 178 migranti a bordo. Dal canto suo la stessa Louise Michel ha dichiarato sul suo account Twitter la notizia del sequestro a causa di una violazione della nuova legislazione italiana e si è dichiarata pronta a combattere contro la decisione: «Sappiamo di dozzine di barche in pericolo proprio di fronte all'isola proprio in questo momento, eppure ci viene impedito di assistere. Questo è inaccettabile!».


L'equipaggio della nave potrebbe finire nel mirino della magistratura di Agrigento assieme ad altre organizzazioni non governative, dopo le esternazioni della Guardia costiera italiana, secondo cui «le continue chiamate dei mezzi aerei Ong hanno sovraccaricato i sistemi di comunicazione del Centro nazionale di coordinamento dei soccorsi, sovrapponendosi e duplicando le segnalazioni dei già presenti assetti aerei dello Stato».

La stessa imbarcazione Louise Michel, ispirata ai valori di femminismo e antirazzismo con a capo l'attivista tedesca Pia Klemp, dopo aver effettuato il primo intervento di soccorso in acque libiche aveva ignorato la disposizione di raggiungere il porto di Trapani, puntando invece verso altri tre barconi sui quali si stavano già dirigendo i mezzi della Guardia costiera. «Ci impediscono di lasciare il porto e prestare soccorsi in mare. Questo è inaccettabile», protestano gli attivisti della Ong, che aggiungono: «Le ultime morti in mare non sono un incidente né una tragedia. Sono volute».

Ma per l'autorità marittima italiana «la nave ha avuto un comportamento che complicava il delicato lavoro di coordinamento dei soccorsi e la non osservanza delle disposizioni ha inoltre rallentato il raggiungimento di un porto di sbarco per i migranti salvati nel primo intervento, inizialmente individuato in quello di Trapani dal ministero dell'Interno, inducendo così a ridisegnare la decisione in modo da far convergere l'arrivo della Ong, per motivi di sicurezza e di urgenza, nel porto di Lampedusa, già peraltro sollecitato dai numerosi arrivi di migranti di questi ultimi giorni».

Non solo. Il dito è stato puntato anche contro la Ocean Viking, che aveva segnalato gli spari della guardia costiera libica nella loro area Sar «senza riportarle al Paese di bandiera, come previsto dalle norme, bensì al Centro di coordinamento italiano, finendo anche questo col sovraccaricare il Centro nei momenti particolarmente intensi dei soccorsi».
Pronta la risposta di Sos Mediterranée: «È molto curioso dire ora che si sovraccaricano le linee telefoniche del Centro nazionale di coordinamento dei soccorsi quando invece nel 2015 queste stesse chiamate venivano apertamente lodate. Sembra assurdo dire che siamo noi ad intralciare i soccorsi quando invece salviamo vite umane».

Nelle ultime ore non si fermano gli attacchi contro chi salva vite in mare. Molte polemiche politiche fanno da sfondo a un'altra giornata agitata nel Mediterraneo: in poco più di 48 ore sono state soccorse, sotto il coordinamento della Guardia Costiera italiana, 58 imbarcazioni e si sono registrati svariati sbarchi autonomi a Lampedusa così come a Roccella Jonica; mentre a Bari, dalla nave umanitaria Geo Barents sono scesi 190 persone tratte in salvo due giorni fa. Va ricordato che anche contro la nave di Medici senza frontiere era scattata il mese scorso in Italia la prima sanzione dopo l'introduzione del cosiddetto decreto Ong per "non aver fornito tutte le informazioni richieste" durante la navigazione che si era conclusa con uno sbarco ad Ancona. Martedì nel porto di Ortona, in Abruzzo, approderà anche la nave umanitaria di Emergency: a bordo 161 persone soccorse nel Mediterraneo centrale. «Durante quest'ultima missione, abbiamo svolto tre distinte operazioni di soccorso in meno di 10 ore - commenta il capo missione della Life Support, Emanuele Nannini - Nel primo soccorso, abbiamo trovato 78 persone su un gommone di 12 metri dai tubolari quasi sgonfi e alla deriva per assenza di carburante. Abbiamo effettuato il secondo e terzo soccorso in coordinamento con le autorità italiane. In questi due soccorsi, abbiamo tratto in salvo 83 persone, tra cui donne e bambini anche molto piccoli: viaggiavano da tre giorni su imbarcazioni di 8 metri, tra le onde del Mediterraneo e con i motori in avaria. Se non fossimo intervenuti, quelle persone si sarebbero aggiunte alle oltre 26mila morte o disperse nel Mediterraneo negli ultimi 8 anni».



Una delle donne soccorse, di 28 anni, proveniente dalla Costa d'Avorio e mamma di una coppia di gemelli di due anni, ha ricordato così il viaggio: «Pensavo, se succede qualcosa ai miei bambini non me lo perdonerò mai. Siamo stati per tre giorni in mare alla deriva perché il motore non funzionava più. Avevamo finito il cibo e l'acqua. A bordo eravamo immersi nel gasolio, nelle urine, negli escrementi, nel vomito. I più piccoli piangevano senza sosta».
Le persone soccorse nella seconda e nella terza operazione erano partite da Sfax, in Tunisia, dove nelle ultime settimane si è registrata una recrudescenza delle politiche verso le persone prive di documenti, per la maggior parte cittadini provenienti dall'Africa Sub-Sahariana. Un'altra donna, di 40 anni e sempre della Costa d'Avorio, ha raccontato di aver vissuto cinque anni in Tunisia, lavorando onestamente, fin quando non è diventato un luogo davvero pericoloso. «La popolazione locale ha iniziato a lanciarci pietre per strada, a minacciarci con armi per prenderci soldi e telefoni, a incendiare le nostre case, a non pagarci più a lavoro o a licenziarci dal giorno alla notte. La legge in Tunisia non è uguale per tutti, non vengono rispettati i diritti umani. Ho ancora amici rimasti in Tunisia che al momento sono in prigione, senza aver commesso alcun crimine. Come si può restare in un Paese dove si ha paura ad uscire anche solo di casa?»

Va ricordato inoltre che sabato il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi era arrivato a definire un fattore attrattivo le richieste di una larga fetta dell'opinione pubblica di soccorrere e non respingere le persone migranti. «L'Italia una piattaforma logistica nel Mediterraneo che anche e soprattutto per chi vuole andare oltre si presta come trampolino di lancio più gestibile. Inoltre probabilmente - aveva proseguito - i migranti percepiscono quel fattore attrattivo di opinione pubblica che annovera una consistente fetta di proposizione e accettazione di questo fenomeno, mentre in Paesi più piccoli, ma anche in Grecia, ad esempio, io ho registrato una assoluta intransigenza in maniera anche abbastanza trasversale tra schieramenti politici di destra e di sinistra».

Intanto quasi un migliaio di persone migranti sono approdate sulle coste italiane, arrivando a segnare la cifra record oltre quattromila arrivi in tre giorni, quasi tutti dalla Tunisia. Ma il dato più tragico è quello che comunicato dalla guardia costiera tunisina che ha recuperato almeno 29 corpi da due barconi affondati vicino alla costa del Paese africano.​



Nella stessa giornata è arrivata anche la denuncia della missione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Libia.
In un comunicato rilasciato, la missione si è detta profondamente preoccupata per il deterioramento della situazione dei diritti umani in Libia, concludendo ancora una volta che "c'è motivo di credere che un'ampia gamma di crimini di guerra e crimini contro l'umanità siano stati commessi dalle forze di sicurezza dello Stato e dalle milizie armate". In particolare, la missione indica che "ci sono motivi ragionevoli per ritenere che la schiavitù sessuale, un crimine contro l'umanità, sia stata commessa contro i migranti".
Gli inquirenti spiegano che gli abusi vengono commessi "contro libici e migranti in tutta la Libia", nei luoghi di detenzione. La missione ha documentato e osservato numerosi casi di detenzione arbitraria, omicidio, tortura, stupro, schiavitù sessuale, esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate, confermando che queste pratiche sono diffuse in Libia.