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Testimonianza. Orrore Sinai, i rapiti uccisi per gli organi

Paolo Lambruschi mercoledì 12 febbraio 2014
Doveva sparire nell’inferno del Sinai perché era diventato un testimone scomodo dei traffici di armi e uomini gestiti da alti ufficiali sudanesi ed eritrei nella terra di nessuno al confine tra i due stati, a Kassala. Invece Assalom, nome di fantasia per non creare guai alla famiglia, eritreo di 37 anni, è miracolosamente tornato dalle rotte della morte un mese fa. Lo hanno liberato durante un blitz dell’esercito cairota che negli ultimi mesi ha distrutto molti covi togliendo le catene a 144 prigionieri subsahariani. Assolom si è consegnato alla polizia ed è stato imprigionato come irregolare. Poi l’ong Gandhi guidata da Alganesh Fessaha, premiata con l’Ambrogino d’oro della solidarietà del comune di Milano per aver salvato centinaia di rifugiati, ha posto fine alla sua odissea e l’ha portato in Etiopia. Raggiunto al telefono, ci ha raccontato gli orrori visti nel deserto della Bibbia, trasformato da bande di spietati predoni beduini in un supermarket di organi umani. Assalom è uno dei tanti sottufficiali delle forze della Difesa eritrea fuggiti dalla coscrizione a vita imposta dal regime di Isaias Afewerki e condannata il 5 febbraio scorso a Ginevra dall’Onu. I disertori normalmente fuggono in Sudan, nei campi dell’Acnur di Shegarab, vicino a Kassala, e ci restano per racimolare denaro e dirigersi poi verso Khartoum. Dal quartiere eritreo della capitale sudanese si organizzano i viaggi per la Libia e da lì si attraversa il Mediterraneo. Un flusso ininterrotto: solo a gennaio sono sbarcati sulle coste italiane 2.156 stranieri, contro i 217 del gennaio 2013 e gli eritrei, dopo i siriani, sono la seconda etnia. Ma Shegarab, 30mila ospiti perlopiù eritrei, è anche il primo anello della catena infernale dei sequestri. Dal 2012 nessun eritreo percorre più, volontariamente, la rotta verso Israele che ha eretto un muro al confine con l’Egitto. Così i nomadi Rashaida, organizzatori con i predoni beduini - con cui hanno antichi legami di clan - del traffico di esseri umani dal Sudan al Sinai, hanno iniziato a rapire le persone all’esterno del campo, anche donne e bambini, e a portarle in Egitto per consegnarle alla mafia beduina. Per i dati ufficiali ne sono sparite 551 solo nel 2012. Potrebbero essere molte di più perché la zona è controllata da bande di criminali Rashaida con la complicità delle forze di sicurezza sudanesi. Alleanza  cementata da business sporchiSecondo diversi report dell’Onu, infatti, sui pickup dei rapitori lanciati nel Sahara viaggiano persone e armi destinate a essere vendute alle cellule terroristiche insediatesi nel Sinai e ai palestinesi dei Territori. Armi che passano di mano al confine eritreo dai militari asmarini a quelli sudanesi e che Assalom, diventato nel frattempo negoziante a Shegarab, aveva visto un giorno dell’ottobre 2012. Da ex militare capisce al volo chi c’è dietro al traffico. «Ho visto un pickup carico d’armi fuori da Shegarab proveniente dall’Eritrea e ho fatto l’errore di dire in giro che l’Eritrea e i Rashaida trafficavano anche in armi», ammette Assalom. La voce arriva a un ufficiale della sicurezza sudanese invaghitosi della moglie di Assalom che gli intima di tacere. Assalom propone al rivale un accordo: lui e la moglie partiranno da Shegarab se il graduato li aiuta a raggiungere Khartoum. Ma la coppia è ormai pericolosa. I militari sudanesi ed eritrei decidono di farla sparire.«Ci ha consegnati ai Rashaida che hanno portato me e la mia donna nel Sinai». Anche nel viaggio verso l’orrore Assalom ha un’altra conferma della complicità tra eritrei e sudanesi. «Il camion che ci trasportava era carico di kalashnikov e lanciarazzi, ne ho contati 16. Le armi venivano dall’Eritrea e dovevano essere consegnate ai beduini». E nulla passa dal confine senza il permesso dei militari eritrei e sudanesi. Alla fine di novembre l’uomo finisce vicino a El Arish, al confine nord con Israele, nelle mani della banda di Abu Suleiman che chiede un riscatto di 75mila dollari per lui e la moglie. Equivale a una condanna a morte. Nella casa Assalom condivide i maltrattamenti inflitti ai rapiti: botte, sprangate, abusi, stupri, bruciature con la plastica fusa. Il 13 gennaio 2013 assiste al brutale pestaggio di Mohamed, 27enne eritreo di Keren che non poteva pagare. Il giovane è a terra agonizzante.«A un certo punto - racconta - nella stanza dove eravamo incatenati è arrivato un medico che ci aveva visitato altre volte. Ma stavolta aveva una borsa frigorifera. Ha addormentato Mohamed e davanti a noi gli ha tolto le reni, poi le ha messe in un contenitore con il coperchio bianco. lo ha messo nella borsa frigorifera ed è andato via su un Land cruiser. I carcerieri hanno portato via quel poveretto mentre stava morendo. Non ho più saputo nulla di lui».In cinque anni sarebbero morte nel deserto 8.000 persone, di cui 5.000 eritrei. Questa testimonianza è una conferma ulteriore di quello che i trafficanti hanno fatto loro. L’ex militare inaspettatamente viene risparmiato. I predoni si sbarazzano dei prigionieri più poveri anche rivendendoli ad altre bande. In questo modo si limitano i rischi e si dividono i proventi del traffico d’organi e di uomini. Assalom cambia così tre covi. La moglie, intanto, è riuscita a fuggire. «La sua famiglia aveva pagato una parte del riscatto e quindi lei era più libera. È riuscita a impadronirsi di un fucile, si è fatta liberare e si è consegnata alla polizia egiziana».Per l’ex negoziante invece nessuno può pagare. A novembre gli ultimi banditi cui è stato venduto gli offrono la libertà in cambio dell’asportazione di un rene. Ma un raid dell’esercito egiziano distrugge il covo e mette in fuga i sequestratori. Poi il carcere a El Arish dal quale viene liberato, insieme ad  altre 45 persone, dall’ong Gandhi, che lo porta in Etiopia nel campo profughi di May Aini con la compagna. L’incubo è alle spalle.