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Unione Europea. Migranti, la Corte Ue: i visti umanitari possono essere rifiutati

Giovanni Maria Del Re mercoledì 8 marzo 2017

Profughi siriani entrati in Italia con i corridoi umanitari

Concedere visti umanitari a persone gravemente minacciate non è un obbligo per gli Stati membri dell’Ue. È certamente una sentenza che farà a lungo parlare di sé, e che infatti era attesa con grande interesse, quella che ieri ha emesso la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Una sentenza che ha dato ragione al governo del Belgio oltre - fatto rarissimo - a ribaltare il parere dell’avvocato generale della stessa Corte.

«Gli Stati membri - recita la sentenza - non sono tenuti, in forza del diritto dell’Unione, a concedere un visto umanitario alle persone che intendono recarsi nel loro territorio per chiedere asilo, ma restano liberi di farlo sulla base del rispettivo diritto nazionale».

Al centro, una coppia siriana cristiana di Aleppo con tre figli piccoli che il 12 ottobre scorso si era recata all’ambasciata belga a Beirut, chiedendo un visto Schengen, manifestando l’intenzione di chiedere poi asilo una volta giunta in Belgio. La famiglia era poi rientrata, il giorno dopo, in Siria. «Uno di loro – riferisce un comunicato della Corte – dichiara, in particolare, di essere stato sequestrato da un gruppo armato, percosso e torturato, prima di essere infine liberato su pagamento di un riscatto. Essi insistono segnatamente sul degrado della situazione della sicurezza in Siria in generale ed a Aleppo in particolare, nonché sulla circostanza che, appartenendo alla confessione cristiana ortodossa, rischiano di essere oggetto di persecuzione a causa delle loro credenze religiose». Se la Corte avesse dato ragione alla coppia, avrebbe aperto la strada a una nuova possibilità per i profughi: anziché cercare di arrivare in modo fortunoso in Europa per chiedere asilo, chiedere un visto umanitario a un’ambasciata vicina di uno Stato Ue per poter poi presentare domanda di protezione una volta arrivati nel paese in questione. Sarebbe stata una svolta di enorme portata per tutta l’Ue, e non certo gradita da molti Stati, che temevano di vedersi inondati di milioni di analoghe richieste alle rispettive ambasciate in Medio Oriente.

L’Ufficio stranieri belga rifiutò la richiesta pochi giorni dopo. La motivazione giuridica è che, manifestando la richiesta di chiedere asilo, i siriani in questione avevano fatto capire di voler restare in Belgio oltre 90 giorni, il limite massimo per la direttiva Ue che regola i normali visti Schengen. La famiglia aveva fatto ricorso, invocando il diritto Ue e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (che garantisce il diritto di asilo a chi è in grave pericolo). La Corte ha, però, dato ragione al Belgio: vista l’intenzione della famiglia siriana di restare oltre i 90 giorni, «ne consegue che, sebbene tali domande siano state formalmente presentate sulla base del codice dei visti (Ue ndr), esse non rientrano nel suo ambito di applicazione» e dunque «le domande della famiglia siriana rientrano nell’ambito di applicazione unicamente del diritto nazionale ». Tradotto: nessun vincolo Ue per il Belgio, come ovviamente per nessun altro Stato membro.

«Sì! Abbiamo vinto» ha esultato via Twitter il ministro belga dell’Immigrazione Theo Francken. «Le ong – ha poi aggiunto in un successivo messaggio – volevano aprire le frontiere Ue direttamente nelle ambasciate all’estero. Ma la Corte Ue è chiarissima: i visti umanitari sono competenza nazionale». Deluse, naturalmente, le stesse organizzazioni umanitarie. «Rivolgiamo un appello agli Stati Ue – ha dichiarato Raphael Shilhav, esperto di politiche migratorie di Oxfam – affinché le loro leggi nazionali permettano ai richiedenti asilo di iniziare il loro viaggio in sicurezza da un’ambasciata, anziché su un barcone». Il verdetto della Corte è sgradito anche al Parlamento Europeo, che sta lavorando per modificare il codice dei visti proprio per includere quelli umanitari: gli stati membri, molti dei quali già restii all’idea, si sentono ora rafforzati dai giudici di Lussemburgo. E il loro assenso è indispensabile per la riforma.

Secondo monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo eletto di Ferrara-Comacchio e direttore generale della Fondazione Migrantes, la sentenza “spinge verso l’utilizzo di canali umanitari d’ingresso, superando l’utilizzo di strumenti non adeguati come il visto turistico”. “Si comprende che un permesso turistico di 90 giorni non possa trasformarsi in una richiesta d’asilo – dice al Sir -. Da una parte la sentenza è una contraddizione perché in questo momento c’è la necessità di avere vie legali d’ingresso, quindi rischia di limitare ulteriormente la possibilità di un libero canale per richiedenti asilo e di spingere le persone ad utilizzare solo le vie illegali d’ingresso, sprecando risorse, mettendo a rischio vite umane, dando soldi alla criminalità organizzata”. Dall’altra parte, però, “la sentenza non nega niente dal punto di vista della prossimità perché dice solo che se c’è già un’intenzione manifesta non si può dare un permesso per turismo”, quindi è un invito a “non utilizzare lo strumento per altri fini”. “Su questo certamente bisogna vigilare – afferma – però al tempo stesso molti che partono da Paesi in guerra, con disastri ambientali o terrorismo sono costretti ad utilizzare questo strumento perché mancano canali legali d’ingresso”. Per cui, conclude, “tanto vale che ci siano canali umanitari d’ingresso per richiedenti asilo, altrimenti c’è il rischio che si limiti il diritto d’asilo”.