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Reportage. Sicilia, la discarica di eternit nelle terre 'salvate' da Livatino

Antonio Maria Mira, inviato a Naro (Agrigento) domenica 18 luglio 2021

Centinaia di tonnellate di eternit/ amianto, lastre e cassoni, assieme a tantissimi altri rifiuti. E alle spalle un’enorme fossa, quasi un cratere, tutto annerito dai continui incendi di rifiuti di ogni tipo. Rifiuti speciali e pericolosi. Un disastro ambientale totalmente ignorato. Una vicenda mai scritta da nessuno. Uno schiaffo, un’offesa a Rosario Livatino. Perché questa discarica abusiva, pericolosissima e tossica, è sorta su un terreno che il giudice, ucciso dalla mafia il 21 settembre e beatificato lo scorso 9 maggio, aveva sequestrato a metà degli anni ’80 nelle campagne di Naro.

Strappato alla mafia, con impegno e capacità, con l’operazione 'Santa Barbara', condotta dal giovane magistrato e dai suoi colleghi contro le cosche di Canicattì, in particolare la potente e ricchissima famiglia dei Guarneri. E proprio ai Guarneri venne confiscata questa bellissima terra fertile in contrada Gibbesi. Dove poi nel giugno 2012 è nata la cooperativa che porta proprio il nome di Livatino. I giovani hanno da poco raccolto grano e ceci. Non possono, invece, 'raccogliere' questa montagna di veleni che in parte hanno trovato già quando hanno ottenuto il terreno e che nel tempo è cresciuta impunemente, malgrado le denunce presentate al Comune, alla Prefettura e al Corpo forestale regionale, come ci racconta il presidente della cooperativa Giovanni Lo Iacono.

Lo avevamo incontrato a settembre 2020, in occasione del trentesimo anniversario dell’uccisione del magistrato. E ci aveva raccontato l’altra incredibile vicenda, quella dei loro terreni occupati abusivamente da decenni da alcuni pastori con più di 2mila pecore. Avvenire aveva rilanciato la denuncia e dopo alcuni mesi i terreni sono stati 'liberati' grazie all’intervento della procura di Agrigento e dei carabinieri. Anche se restano non poche questioni aperte.

Ma soprattutto ora c’è «il lato B dei nostri problemi», come lo definisce Giovanni. Una doppia offesa a Livatino, non solo al suo impegno di magistrato ma anche alla sua sensibilità ambientale dimostrata in tante inchieste innovative, tra le prime contro le ecomafie. Certo non avrebbe mai pensato che questa bella terra sarebbe diventata una discarica, una vera bomba ecologica. Tutto attorno ci sono campi coltivati, non solo quelli della cooperativa, e anche alcuni laghetti e pozze d’acqua, perché qui la falda è poco profonda, e quindi i rifiuti sono ancor più pericolosi. Eppure ci si arriva con stradine di campagna messe molto male, forse, ci suggerisce Giovanni, dal passaggio dei camion che sono venuti a scaricare a più riprese. Perché queste quantità non si portano con mezzi piccoli. Inoltre le lastre di eternit/amianto sono bene impilate, impacchettate, evidentemente scaricate con una gru o una benna. Qualche ditta incaricata di smaltirle e che, invece, ha preferito sbarazzarsene gratis nelle campagne. Ci sono anche dei cassoni per l’acqua con la scritta 'Eternit Siciliana', tanto per essere chiari. E poi canne fumarie sempre in amianto, e copertoni bruciati, contenitori di sostanze chimiche.

E chissà cosa altro c’è interrato nell’enorme 'cratere' tutto nero. Quasi un antro infernale. Ma la vicenda, per ora mai emersa, ha anche un incredibile capitolo. Questi terreni sono affidati alla cooperativa nel 2016. Quando si accorgono della discarica, il 24 gennaio 2017 presentano le denunce. Il Comune dopo un sopralluogo con Lo Iacono, nel febbraio 2017 sequestra l’area e lo nomina custode giudiziario. Ma i rifiuti rimangono lì. E anzi, dopo più di due anni, con una propria ordinanza del 22 agosto 2019, il Comune ordina alla cooperativa di rimuovere immediatamente i rifiuti. Assurdo. Non solo perché parte dei rifiuti erano lì da prima dell’affidamento alla Livatino, ma soprattutto perché, come tutti i beni confiscati, anche questo terreno è diventato patrimonio del Comune stesso. Toccava dunque al Comune rimuovere i rifiuti e anche sorvegliare, affinché non fossero scaricati altri veleni. Così la cooperativa fa ricorso al Tar della Sicilia che le dà ragione e il 13 dicembre 2019 annulla il provvedimento del Comune. Da allora nulla si è mosso, tranne gli inquinatori che, con la certezza dell’impunità, hanno aggiunto rifiuti su rifiuti. E a proposito di rifiuti, sempre accompagnati da Giovanni andiamo a vedere i terreni 'liberati' dai pastori e facciamo un’altra amara scoperta. Dopo aver trasferito le pecore, hanno smontato il grande ovile portando via solo i pali di metallo ma lasciando i tetti di eternit che ora sono a terra a fianco della strada. E sono davvero tanti. Oltre al danno la beffa. «Dovrebbero smaltirlo loro, non tocca certo a noi farlo. Oltretutto ci costerebbe tantissimo e poi sono loro i responsabili » denuncia Giovanni. Ovviamente anche questo è stato denunciato.

E i pastori? Mentre scendiamo a vedere il laghetto di affioramento, anch’esso nella zona confiscata che avevano occupato abusivamente, incontriamo le pecore che brucano l’erba all’ombra delle piante sulla riva. Ma non erano andati via? «Abitano qui vicino e ogni tanto sconfinano. Se me lo chiedessero, io non avrei problemi farli venire, capisco che hanno bisogno di acqua e di erba. Ma non lo fanno e continuano a fare come se la terra fosse loro». Davvero sulle terre strappate alla mafia dal 'piccolo giudice' la strada del ripristino della legalità è ancora piena di ostacoli.