Attualità

Tassa sulle rimesse. Il sociologo Bolaffi: «Si fa solo un favore al sommerso»

Diego Motta mercoledì 28 novembre 2018

Guido Bolaffi

« È un provvedimento che porta con sé lo stesso errore di sempre: quello di intervenire sulle persone, non sui fenomeni ». Per il sociologo Guido Bolaffi, l’idea di una tassa sui trasferimenti monetari degli stranieri presenta due ordini di rischi: uno materiale, l’altro culturale. In un contesto mondiale in cui le rimesse degli immigrati sono salite nel 2017 del 7%, passando da 573 a 613 miliardi, l’Italia è rimasta ferma a quota 5 miliardi. Non solo: fino a quasi un terzo del denaro che ogni anno è inviato all’estero dai lavoratori immigrati residenti in Italia, pari a oltre 5 milioni di persone, quasi un terzo secondo le stime della Banca d’Italia potrebbe già passare da canali informali. «E con questa norma si rischia di aumentare il sommerso» osserva Bolaffi.

In che senso?
Con la ritenuta dell’1,5% sui trasferimenti di denaro destinati a uscire dall’Italia, si spinge lo straniero a fare spostamenti di soldi in nero. Anziché usare i money transfer, useranno gli spalloni, finendo per aumentare quell’area incontrollata e difficilmente quantificabile delle operazioni cash. Il punto è a cosa dovrebbe servire un provvedimento del genere. Se fosse di tipo universale e avesse la finalità di finanziare, ad esempio, corsi bilingue per gli stranieri che devono integrarsi, avrebbe un senso. Ma non essendo un tipo di intervento universalistico, finisce solo per accentuare il suo carattere punitivo verso determinati soggetti. Ma così non può funzionare.

Esistono esempi simili in giro per il mondo?
In America gli imprenditori che assumono gli immigrati devono pagare una tassa che va poi a finanziare un fondo per la riqualificazione degli operai americani in disoccupazione. È una misura che vuole agevolare processi di solidarietà interna su cui si può essere d’accordo o meno. Ma una ratio c’è. Qui non si capisce se si tratta di una mossa una tantum o di qualcosa di più strutturale. Se si voleva mandare un messaggio al Paese, si poteva cominciare a tassare gli italiani che sfruttano gli immigrati, ad esempio.

Lei ha parlato anche di una deriva culturale. Si riferiva a questo punto in particolare o a tutto il decreto Salvini?
La mia analisi riguarda la governance di un fenomeno globale come l’immigrazione, che noi ben conosciamo peraltro, essendo stati migranti anche noi italiani, con quelle stesse rimesse l’Italia ha potuto svilupparsi dal dopoguerra in poi. Mi pare di poter affermare che le rimesse immateriali valgano 100 volte di più rispetto a quelle strettamente economiche. Tutti gli studi moderni si stanno concentrando su questo: oggi un immigrato trasferisce nel suo Paese d’origine non solo soldi, che sono importantissimi, ma anche conoscenza, valori, stili di vita mutuati dai nostri, nel bene e nel male. Ciò ha permesso, nel breve volgere dell’ultimo decennio, di ridurre profondamente il gap tra società arretrate e società sviluppate. Si chiama capitale umano e dovremmo valorizzarlo, anziché punirlo.